Architettura

Calcestruzzo e tradizioni locali: lo stadio di Marrakech della Gregotti Associati

Non credo si possa trovare un progetto o una costruzione di Vittorio Gregotti che non sia il risultato di una lettura del contesto urbano e territoriale e delle relazioni che da esso ne conseguono. L’Architettura è un problema di rapporti con il contesto,  con la natura dell’intervento, con le regole della disciplina e, non ultima, con la responsabilità che l’Architetto deve assumersi nel suo operato. Così è stato anche per i numerosi Stadi progettati e realizzati dalla Gregotti Associati: non oggetti a sé stanti, non individui autoreferenziati, non interventi nascosti in facili slogan, ma sempre  espliciti nel loro valore civile e nella funzione rappresentata. Così, anche per lo stadio di Marrakech realizzato nel 2011.

Vittorio Gregotti, nato a Cameri nel 1927, vive e si forma in un ambiente imprenditoriale. A Cameri il padre dirigeva l’importante industria tessile di famiglia. I figli ne respiravano l’aria fatta di lavoro operaio e di esperienze dirette in fabbrica, come lui stesso ci racconta. Durante il liceo comincia a interessarsi in modo particolare agli studi dell’Arte e dell’Architettura, filo conduttore che lo porterà a iscriversi alla Facoltà di Architettura di Milano. Rientrato in Italia dopo un proficuo periodo di soggiorno a Parigi, comincia a frequentare lo studio BBPR incontrando così il suo primo maestro, Ernesto Nathan Rogers, e altri protagonisti della cultura architettonica moderna fra cui Walter Gropius, Le Corbusier, Alvar Aalto e molti tra i rappresentanti del razionalismo italiano. Di quegli anni è anche la frequentazione di alcuni compagni di corso: Gae Aulenti e, in particolare, Ludovico Meneghetti e Giotto Stoppino che diventeranno  i primi soci di studio. Partecipa ai CIAM e trascorre, successivamente, un periodo negli Stati Uniti; ritornato in Italia fonda il primo studio a Novara. Fu direttore di Casabella per un lungo e indimenticabile periodo; nel 1974 fondò la Gregotti Associati, attiva sino al 2018. Viene a mancare nel 2020.

Lo studio Gregotti ha affrontato il tema in diverse occasioni progettando cinque stadi di calcio tra Europa e Africa, tutti dispositivi radicati nella struttura della città. In questo modo ha realizzato tipologie innovative che avrebbero fatto scuola per altri e più recenti progetti. Li ricordiamo: Estadi Olimpic Lluis Companys a Barcellona, 1989; Stade des Costières a Nimes, 1989; Stadio Luigi Ferraris a Genova, 1990; Stade de Marrakech a Marrakech, 2011; Stade Adrar a Agadir, 2013.

Quello di Marrakech fu costruito a seguito di un concorso internazionale in occasione della candidatura del Marocco quale sede della Coppa del Mondo di calcio del 2006 che prevedeva la realizzazione di 8 impianti sportivi di calcio e atletica. Il gruppo Gregotti Associati-Sad Benkirane fu invitato a partecipare per gli stadi di Casablanca, Agadir e  Marrakech con assegnazione degli ultimi due.

Lo Stadio di Marrakech, commissionato dal Ministero degli Sport del Regno del Marocco, è destinato a ospitare circa 45.000 spettatori e realizzato su una superficie di 58 ettari. L’impianto è dotato anche di una sala multimediale, un centro di primo soccorso e un’infermeria.

Il luogo di costruzione si trova a Nord della città e il progetto è risultato di un attento studio del sito e dei caratteri tipologici e costruttivi locali. Tre sono i princìpi su cui si fonda il progetto: la caratterizzazione del sito come oasi; l’impiego di un impianto che riferisce all’antico insediamento murato; un’organizzazione degli spazi attorno a patii centrali secondo la tradizione. Non meno rilevanti l’uso del colore delle superfici murarie con evidenti richiami a tonalità della sabbia, e la gestione del rapporto luce-ombra. Per necessità di mitigazione degli effetti climatici, le coperture delle tribune Est-Ovest prevedono strutture in tensione e teli in Teflon come controllo della ventilazione, mentre quelle Sud-Nord presentano una copertura metallica.

L’impiego del calcestruzzo non assume qui le forme delle più recenti applicazioni in cui la flessibilità del materiale permette interessanti formalismi espressivi, ma è impiegato nella sua natura originaria di pietra o, come diceva Nervi, di “pietra fusa” che è testimoniata anche da autorevoli e precedenti esempi nell’opera di Le Corbusier, di Louis Kahn, di Carlo Scarpa e nel contemporaneo Tadao Ando i cui lavori traspirano del rigore nell’uso del materiale che ritroviamo nello Stadio di Marrakech. Qui, la struttura, elemento sagomato e inciso a rimarcare gli aspetti tecnici della sua realizzazione, si mostra coerente con la regola architettonica generale. Il valore simbolico del calcestruzzo permette di tradurre in forma costruita il rapporto tra regola strutturale e tradizione architettonica, come dire che l’artificio – il calcestruzzo – si piega con la sua ortogonalità, le sue bucature, il rigore formale e il colore a dialogare e ricordarci le tradizionali architetture di terra fatta di materiali “essiccati”. Eppure l’artificio, proprio per questa sue naturali capacità, ci permette di rendere evidente il rapporto tra luci e ombra, tra esterno e interno, elementi tipici dell’architettura locale.

Renzo Bassani
Architetto, membro del Consiglio Direttivo nazionale di IN/ARCH.

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