Sostenibilità

Combustibili di recupero per un futuro circolare a emissioni zero. Intervista a Giovanni Ciceri


Giovanni Ciceri, Responsabile sede RSE (Ricerca Sistema Energetico) di Piacenza, Coordinatore CT 283 “Energia dai rifiuti” e ISO/TC 300 – WG5 “Solid Recovered Fuels”, ci spiega quali siano i vantaggi e i benefici nell’utilizzo del CSS piuttosto che di un combustibile fossile nelle cementerie. Grazie all’uso del CSS infatti è possibile contribuire alla decarbonizzazione del settore del cemento e fornire un sostegno all’economia circolare.





Il dibattito sul Recovery Fund apre a uno scenario del tutto inedito, legato alla possibilità di trasformare in chiave sostenibile il sistema economico-produttivo nazionale in linea, peraltro, con le richieste della Commissione UE che impegnano gli Stati membri a raggiungere la neutralità climatica al 2050. In Europa, l’uso dei combustibili alternativi nelle cementerie, come il CSS (Combustibile Solido Secondario), in sostituzione delle fonti fossili, è una pratica largamente diffusa ed è prevista fra le “Migliori Tecniche Disponibili” (BAT, Best Available Technique). È inoltre uno degli strumenti per il raggiungimento nel 2050 della Carbon Neutrality, emissioni nette zero di gas a effetto serra, lungo la catena del valore del cemento e del calcestruzzo previsto dalla Roadmap del Cembureau, l’Associazione europea dei produttori di cemento. Del resto, nelle previsioni del Green Deal di una società europea nel 2050 più urbanizzata, più connessa, automatizzata e smart, cemento e calcestruzzo giocano un ruolo fondamentale per soddisfacimento dei propri bisogni.

In quest’ottica, l’industria del cemento e il settore delle costruzioni sono ritenuti fondamentali per la trasformazione in senso circolare dell’economia e dell’industria europea, in quanto alla base di diverse catene del valore di grande importanza ed elementi chiave del Piano d’azione per l’economia circolare finalizzato alla definizione di nuove strategie per la rigenerazione urbana attraverso politiche mirate all’ottenimento di prodotti sostenibili.

L’auspicio, considerata la necessità di rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione del Green Deal europeo e l’insufficiente dotazione impiantistica nazionale per la gestione dei rifiuti, è che venga sempre più sostenuta la co-combustione del CSS in cementeria, per chiudere il ciclo della raccolta differenziata in maniera efficiente ed efficace, attraverso impianti già presenti e dislocati su tutto il territorio, per quelle frazioni degli scarti non pericolosi che non è possibile riciclare o riutilizzare.


Dott. Ciceri, ci può spiegare brevemente cos’è il CSS?

«Il CSS, letteralmente Combustibile Solido Secondario, utilizzato per il recupero di energia in impianti di incenerimento o co-incenerimento, è l’evoluzione di quello che in passato era noto come CDR, ovvero Combustibile Derivato da Rifiuti, ed è prodotto con processi meccanici di selezione, come la grigliatura, e biologici, come il bio-essiccamento, utilizzando esclusivamente rifiuti non pericolosi, quali la frazione secca dei rifiuti urbani oppure degli scarti industriali, comunque non classificati come pericolosi, rispondendo alle specifiche e alla classificazione fornite dalla UNI EN 15359:2011 (DLgs 205 del 3 dicembre 2010, n. 205). Questa norma, che a breve sarà sostituita da una norma internazionale ISO, ne stabilisce la qualità, classificando il prodotto in base a tre parametri di riferimento: il Potere Calorifico Inferiore (P.C.I.), di chiaro valore economico, il contenuto di cloro (Cl), indicativo dell’aggressività del prodotto in fase di combustione e quindi di rilevanza tecnologica, e il contenuto di mercurio, scelto come indice ambientale. Sono inoltre stabilite delle specifiche riguardanti il contenuto di una lunga serie di parametri, tra cui molti metalli pesanti, senza però definirne i limiti essendo questi lasciati a una intesa tra il produttore e l’utilizzatore, sulla base delle tecnologie di abbattimento delle emissioni disponibili da quest’ultimo».


Quali sono i vantaggi e i benefici nell’utilizzo in cementeria del CSS piuttosto che di un combustibile fossile? 

«Il CSS nasce e trova impiego come combustibile alternativo nei processi di co-combustione, in cui è miscelato con altri combustibili, sostanzialmente nelle centrali elettriche a carbone, in sostituzione del carbone, e nelle cementerie, dove apporta le calorie necessarie alla produzione del clinker, il costituente prevalente del cemento, soprattutto in sostituzione del pet-coke (carbone da petrolio).

I vantaggi nell’utilizzo del CSS sono molteplici perché contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas serra, soprattutto in termini di CO2, grazie a un elevato contenuto di sostanze biogeniche, variabile fra il 50% e il 70%, e perché, essendo prodotto da rifiuti non pericolosi e classificato come rifiuto non pericoloso, ha un potenziale impatto sull’ambiente, a livello di emissioni, minore rispetto ad altri combustibili; anche se è bene precisare che, in generale, “l’impatto” dipende soprattutto dalle tecnologie di abbattimento presenti sugli impianti, che oggi, sono solitamente molto avanzate. L’utilizzo in cementeria dei Combustibili Solidi Secondari rappresenta dunque un’alternativa al conferimento in discarica dei rifiuti indifferenziati, con conseguente risparmio di emissioni di CO2 e soprattutto di metano derivanti dalla digestione della parte organica dei rifiuti da parte dei batteri presenti. Vorrei ricordare, al riguardo, che il metano ha un effetto climalterante di circa 21 volte superiore a quello della CO2 (IPCC AR4 WG1, giugno, 2012). Aggiungerei anche che, utilizzando il CSS, si evita l’import di combustibili fossili non rinnovabili (carbone, pet-coke) e il trasporto, anche transfrontaliero, dei rifiuti per il loro smaltimento».


Perché quindi il co-incenerimento del CSS in cementeria non deve essere confuso con la combustione dei rifiuti in un inceneritore?

«Il CSS non è stato pensato per un uso diretto negli inceneritori, almeno in quelli più diffusi con tecnologia cosiddetta “a griglia”, anche perché non sarebbe possibile farlo a causa dell’elevato contenuto energetico che possiede. Gli inceneritori non sono tarati per bruciare questi prodotti, ovvero, può essere utilizzato a tal fine ma deve essere miscelato con altri rifiuti, quindi costituirebbe uno spreco, in quanto verrebbe bruciato qualcosa di pregiato senza ricavarne un effettivo beneficio. Al contrario, è molto adatto ai processi di co-combustione, per il suo elevato contenuto di energia, ottenuto grazie al processo di produzione in cui viene eliminata gran parte dell’acqua presente e vengono separati gli inerti, con il risultato di un prodotto molto più puro.

Infine, alcuni studi hanno dimostrato che l’utilizzo di CSS in sostituzione di combustibili fossili in processi di co-combustione tendono a ridurre le emissioni di NOx, anche se è bene ricordare che queste ultime dipendono in grande misura dalla temperatura di combustione dato che gli ossidi di azoto si generano prevalentemente per sintesi diretta tra ossigeno e azoto contenuti nell’aria necessaria alla combustione stessa. In uno studio non recentissimo (Genon, Brizio, 2008), il Politecnico di Torino ha dimostrato che l’utilizzo di combustibili alternativi nei forni da cemento consente di ridurre le emissioni di NOx rispetto all’utilizzo di combustibili fossili.

Inoltre, secondo un recente studio del Laboratorio REF Ricerche, applicando in Italia il tasso del 66% di sostituzione termica dei combustibili fossili con i CSS nelle cementerie raggiunto in Germania nel 2017, si eviterebbe l’emissione in atmosfera di 6,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti. Questo sarebbe dovuto in parte alla biomassa in essi contenuta e in parte alle emissioni di metano evitate per il fatto che gli scarti, invece di essere conferiti in discarica, vengono valorizzati energeticamente dall’industria cementiera. Potenzialmente, dunque, essendo il CSS un rifiuto non pericoloso, nella combustione produce una minore quantità di inquinanti».


In che modo il CSS contribuisce alla chiusura del ciclo dei rifiuti?

«Nell’economia circolare non esiste la possibilità di non avere una frazione residua non riciclabile e recuperabile come materia. Un qualche residuo non riutilizzabile ci sarà sempre. Un suo recupero energetico è indubbiamente un meccanismo virtuoso rispetto alla posa in discarica, che costituisce il massimo dell’inefficienza e l’opzione a maggiore impatto ambientale nel ciclo dei rifiuti. Questo è vero anche in termini di emissioni di gas serra in senso lato, perché una discarica negli anni produce metano, gas molto più efficace in termini di contributo al riscaldamento globale rispetto alla CO2. Nelle cementerie il ciclo è ancora più virtuoso perché l’utilizzo del CSS non comporta soltanto un recupero energetico ma anche di materia, costituita da parte delle ceneri che si generano nel processo di combustione, quelle cioè che per qualità intrinseca possono sostituire le materie prime naturali normalmente utilizzate per la produzione del clinker e in questo sono inglobate. A tal proposito nell’ambito del Gruppo di Lavoro 5 “Chemical tests and determination of biomass content” di ISOTC 300 “Solid Recovered Fuels”, di cui sono coordinatore, stiamo sviluppando una specifica norma sul recupero di materia nella co-combustione dei CSS, che come tutte le norme è basata su consolidate basi scientifiche ed è condivisa da 20 nazioni partecipanti come membri attivi e da altre 16 come membri osservatori.

A differenza dell’economia lineare, che parte dalla materia di cui sono costituiti i prodotti che utilizziamo e arriva al rifiuto molto spesso non riciclabile e che quindi esce definitivamente dal ciclo, nell’economia circolare tutto viene, per quanto possibile e direi anche sostenibile, riciclato o recuperato come materia, per arrivare a un’economia in cui i prodotti di oggi sono le risorse di domani, in cui il valore dei materiali viene il più possibile mantenuto o salvaguardato. Tutto quanto non è riciclabile come materia trova impiego come fonte di energia necessaria per sostenere il ciclo, limitando al massimo lo smaltimento in discarica che rappresenta, anche qui, l’opzione più sfavorevole. L’utilizzo del CSS, previsto dalle migliori tecnologie disponibili (MTD) di settore pur collocandosi prevalentemente a valle del riciclo e del recupero di materia, in parte vi contribuisce come abbiamo già messo in evidenza. Inoltre, la CO2 prodotta bruciando CSS, contenendo un’elevata percentuale di biomassa, è per circa un 40% fossile, cioè paragonabile a quella prodotta dalla combustione del carbone o del pet-coke, ma per la restante porzione, biogenica, e, in quanto tale, non rientra nel computo delle emissioni di gas serra. È come se a parità di potere calorifico, venisse prodotta una quantità molto inferiore di CO2.

Il punto fondamentale è che il CSS viene prodotto utilizzando la frazione combustibile dei rifiuti indifferenziati o altri residui industriali combustibili non pericolosi non altrimenti riciclabili. Non quelli che si possono avviare (effettivamente) al riciclo, ma quelli che altrimenti andrebbero a smaltimento. È sempre bene ricordare che, ad esempio, su 100 kg di plastiche da raccolta differenziata solo il 60% viene recuperato sotto forma di materia prima seconda, per altro non tutta poi effettivamente riciclata dato che le statistiche si basano sulla destinazione e sull’utilizzo primario. Il resto sono scarti non processabili che trovano uno sbocco nel recupero energetico anche attraverso la trasformazione in CSS, oppure finiscono in discarica. Inoltre, il riciclo è preferibile, sia da un punto di vista ambientale che economico, quando la materia prima seconda ricavata dalla raccolta differenziata ha un serio ed effettivo sbocco di mercato e rientra di fatto nell’economia circolare. Ma quando questo sbocco non c’è – per ragioni di qualità della materia, per ragioni di mercato, per costi di trasporto, ecc. – allora il recupero energetico diventa la soluzione migliore, in linea con la gerarchia europea dei rifiuti. E se questo è valido per la frazione non processabile della raccolta differenziata, ancor di più lo è la frazione indifferenziata, da cui si può appunto ricavare il CSS».


Questo vale anche per le plastiche?

«Certamente, tramite il CSS si riesce a recuperare la frazione di plastica non riciclabile. Occorre ricordare che, nel caso dei rifiuti plastici, alcune frazioni della raccolta differenziata non sono tecnicamente o economicamente riciclabili allo stato dell’arte; e anche lo stesso riciclo meccanico origina scarti che non possono essere riutilizzati tal quali. Queste frazioni devono essere smaltite o mediante recupero energetico in sostituzione dei combustibili fossili, o smaltiti in discarica. Le strade perseguibili, che valgono soprattutto per i rifiuti plastici, possono essere il recupero di energia fornendo i rifiuti a cementifici (in forma di CSS, Combustibile Solido Secondario), oppure il trattamento con processi di gassificazione o pirolisi che portano alla produzione combinata di energia e di materie prime seconde. Si consideri poi che utilizzando le migliori tecnologie per la produzione di CSS, purtroppo ancora poco diffuse, è possibile recuperare materia riciclabile (es. PET e metalli ferrosi e non ferrosi) che altrimenti rimarrebbe nel rifiuto indifferenziato».


A fronte dei tanti vantaggi, perché in Italia la domanda di CSS è bloccata? Quali sono le ragioni di così tante resistenze?

«Il problema si pone perché nell’opinione pubblica il CSS viene associato non al termine di “combustibile” ma a quello di “rifiuto”, con una connotazione assolutamente negativa. Anche se, nel 2013 il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha emanato il DM 14 Febbraio 2013 n.22, ovvero il “Regolamento End of Waste” in base al quale il CSS di alta qualità e con stringenti specifiche cessa di essere rifiuto e diventa un combustibile prodotto per le cementerie (CSS-Combustibile), tale strada non è mai realmente stata percorsa, nella convinzione diffusa che fosse solo un espediente per non chiamare più rifiuto quanto prima del decreto lo era. E ciò dimenticando che quanto oggi è un rifiuto fino a ieri, molto spesso, era un bene, parte di un alimento, un prodotto anche di qualità, che ora è un rifiuto non tanto perché ha cambiato i suoi connotati di composizione e pericolosità, ma semplicemente per il fatto che ce ne siamo disfatti.

Tuttavia, la transizione verso un’economia circolare richiede un cambiamento culturale e strutturale. Una profonda revisione e innovazione dei modelli di produzione, distribuzione, consumo sono i cardini di questo cambiamento, con l’abbandono dell’economia lineare, il superamento dell’economia del riciclo e l’approdo all’economia circolare, passando anche per nuovi modelli di business e trasformazione dei rifiuti in risorse ad alto valore aggiunto. Ma è necessaria anche una campagna informativa. Per quanto riguarda la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, laddove questa attualmente si fonda più che altro su pregiudizi piuttosto che su una corretta analisi dei dati e delle informazioni, deve essere costante sia l’impegno informativo nelle scuole, contribuendo alla formazione e all’educazione dei ragazzi, che quello nel dialogo con le comunità territoriali, anche attraverso l’organizzazione di eventi e giornate informative e di confronto, mirate a veicolare messaggi chiari e corretti sia per i cittadini che per gli amministratori. Tutto ciò sicuramente contribuirebbe alla rimozione degli attuali ostacoli burocratici e di una percezione viziata da “falsi miti” che allontanano l’industria italiana dal panorama e dagli obiettivi europei, rendendo più difficile la strada verso la decarbonizzazione, ed inducono l’opinione pubblica ad avere un atteggiamento negativo nei confronti di questi provvedimenti».

Patrizia Ricci
Ingegnere civile con un Dottorato in Meccanica delle Strutture, ha perfezionato i propri studi presso il dipartimento di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Bologna, dove ha svolto attività di ricerca nel campo della Meccanica della Frattura, e presso l’Imperial College di Londra. Da diversi anni collabora con le principali riviste tecniche di ingegneria e architettura, efficienza energetica e comfort abitativo, meccanica e automazione, industria 4.0 (settore del Building e dell’Industry) come autrice di articoli e approfondimenti tecnici per i settori di competenza.

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