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Come dovranno cambiare spazi e infrastrutture con l’home working

Cosa rimarrà del coronavirus? La domanda non intende riferirsi ai tragici aspetti legati all’emergenza sanitaria, una ferita che resterà inguaribile a lungo per tutti noi. La riflessione riguarda lo stravolgimento improvviso dei modi di vivere e lavorare, che si stanno trasformando in nuove abitudini che a loro volta richiedono un riadattamento degli spazi e delle infrastrutture.

Nell’intervallo di un tempo brevissimo abbiamo cambiato comportamenti mai messi in discussione finora, familiarizzando, in maniera necessariamente accelerata, con i sistemi per relazionarci da remoto, facendo i conti con la digitalizzazione e misurando la rete web come opportunità̀ per lavorare in modo diverso, per imparare al di fuori dei banchi di scuola, per acquistare beni materiali in negozi virtuali.

In base a una stima del Politecnico di Milano, in Italia siamo passati dai 570mila smart worker censiti a ottobre 2019, cioè persone con un preciso contratto per la fornitura di prestazioni lavorative al di fuori dei locali aziendali, agli 8 milioni di home worker di inizio marzo, ovvero persone vincolate a lavorare da casa per continuare a fornire prestazioni e a operare in modo più o meno efficace.

Questo inconsueto popolo sta testando un nuovo modo di lavorare, certamente più sicuro ma non necessariamente più efficiente in uno spazio che fino a poco tempo fa era solamente personale, uno spazio in cui si faceva ritorno da altri ambienti più formali e che invece ora si apre verso l’esterno in una inedita commistione di esigenze differenti da dover conciliare come meglio si può, un laboratorio dove sperimentare quotidianamente forme di co-working.

Tutto ciò avrà impatti, tra l’altro, sulla domanda riferita al prodotto edile e dunque all’industria delle costruzioni: abitazioni più grandi, spazi esterni, verde condominiale attrezzato, zone che prima erano semplici punti di passaggio divengono ambienti comuni da valorizzare, attenzione ai materiali, con preferenza per quelli più naturali e salubri, quali ad esempio il calcestruzzo che, per sua natura, ostacola la diffusione di batteri e parassiti.

Ma gli impatti saranno anche sulle infrastrutture del Paese, in particolar modo quelle di trasporto e di telecomunicazione. In un periodo in cui due dei concetti chiave sono il distanziamento sociale e la digitalizzazione, è lecito immaginare un crollo del tasso di utilizzo abituale di mezzi pubblici, come autobus e metropolitane, nuove abitudini di trasporto urbano che faranno leva ancor di più sui mezzi privati e un costante aumento del ricorso all’e-commerce.

Quindi infrastrutture per il movimento urbano privato da potenziare e reti extra-urbane sempre più dedicate a servire il trasporto delle merci acquistate on-line e da consegnare nel più breve tempo possibile, e infrastrutture di telecomunicazione da irrobustire per garantire la stabilità dei collegamenti e per far fronte alla crescente domanda di connettività. In conclusione, se è vero che le crisi rappresentano delle occasioni di discontinuità, allora anche le politiche di rilancio delle infrastrutture dovranno segnare un cambiamento di punto di vista per poter cogliere le opportunità che si stanno schiudendo.

Massimiliano Pescosolido
Segretario Generale di Atecap. Da venti anni nel mondo della rappresentanza di settore. Economista appassionato, esperto di associazioni di categoria e osservatore attento dell'industria delle costruzioni.

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