ArchitetturaSostenibilità

Costruire le città del futuro: l’architettura al servizio della rigenerazione urbana

Quale è il futuro che vogliamo per le nostre città? Come l’Italia può affrontare oggi la sfida per città più belle e sostenibili?

Il periodo storico che stiamo vivendo è unico per diversi motivi, il tema della sostenibilità, ad esempio, non è mai stato così dibattuto: in questi ultimi mesi finalmente alcuni importanti strumenti politici adottati a livello globale hanno delineato con forza, come mai avvenuto in passato, importanti linee guida non solo per fronteggiare il cambiamento climatico ma anche per immaginare città più a misura d’uomo.

I 17 goals definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nell’Agenda 2030, un grande programma d’azione per «ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti», riconoscono irrevocabilmente lo stretto legame tra il benessere umano, la salute dei sistemi naturali e antropizzati, e la presenza di sfide comuni per tutti i Paesi.

Anche il Green New Deal Europeo si inserisce in questo panorama, puntando essenzialmente su sostenibilità e innovazione, in un piano che proprio in questi mesi l’Italia sta facendo proprio per selezionare gli investimenti da attuare nel suo Recovery Plan, oggi in corso di definizione. Un importante segnale sul legame tra buona architettura e rigenerazione urbana è stato poi dato dal Piano per il Nuovo Bauhaus europeo, l’iniziativa annunciata cinque mesi fa da Ursula von der Leyen che mira a coniugare la lotta al cambiamento climatico con design e arte.

È però impossibile parlare di sostenibilità e innovazione senza fare i conti con la pandemia e con il modo in cui quest’ultima ha cambiato radicalmente il nostro stile di vita e le nostre necessità. Ci troviamo davanti a un approccio nuovo al modo di vedere e concepire le città e a una riabilitazione del ruolo dell’architetto, ora di nuovo al centro di questa “rivoluzione”. La stessa von der Leyen ha dichiarato: «Voglio che Next Generation EU faccia partire un’ondata di ristrutturazioni in tutta Europa e renda l’Unione capofila dell’economia circolare. Ma non è solo un progetto ambientale o economico: dev’essere un nuovo progetto culturale europeo».

Credo che anche il nostro Paese oggi non possa sottovalutare l’importanza di lasciare un segno del presente nella storia, che sia un’eredità preziosa di bellezza. Penso a un’idea di rinnovamento profondo delle città, di vera trasformazione, che parte dalla riqualificazione del patrimonio esistente ma immagina nuovi scenari e nuovi habitat che vanno anche oltre la tutela, per comunicare la Visione e il Senso della nostra contemporaneità.

Parlare di limitazione nell’occupazione del suolo è importante ma di per sé non sufficiente quando si tratta di immaginare la città del futuro. La bellezza del territorio italiano è intrinsecamente legata alla sua antropizzazione. Le periferie delle città più grandi richiedono un urgente ripensamento e investimenti strutturali per essere efficacemente rigenerate, anche con demolizioni e ricostruzioni. L’Italia inoltre è strutturalmente un Paese che non ha grandi metropoli, ma un tessuto di città medie e piccole distribuite su un territorio ricchissimo per varietà culturale e paesaggistica, che vanno valorizzati e aiutati a crescere.

Pensiamo ai tanti piccoli borghi che svolgono un ruolo fondamentale per la nostra identità. Prendiamoli ad esempio e costruiamo nuovi spazi di aggregazione in grado di mettere insieme innovative forme per residenza e ambienti di lavoro, insieme a servizi e spazi pubblici di qualità, dei “borghi contemporanei” che potrebbero nascere nelle periferie delle nostre città. L’arrivo dei fondi europei deve essere il catalizzatore per iniziare a lavorare sul nostro territorio, con grande sensibilità e coraggio. Il passato e il futuro possono e devono dialogare, non sostituirsi l’uno all’altro.

Creare nuovi centri significa anche progettare da zero, come è successo nell’area che ha ospitato Expo 2015. Palazzo Italia, oggi Fondazione Human Technopole, – alla cui realizzazione ho lavorato in prima persona – e che ora ospita il MIND (Milano Innovation District), il nuovo distretto dell’innovazione, dove accanto a centri di ricerca e innovazione sorgeranno università, spazi culturali e per il tempo libero.

Il mio studio – Nemesi Architects – sta anche lavorando alla costruzione di un nuovo Hub innovativo tra Cherasco e Bra. Si tratta del Campus di Tesisquare, una azienda attiva nel campo dell’Information Technology. Per loro abbiamo pensato a uno spazio lavorativo aperto, inclusivo e sostenibile che segue il modello Olivettiano. In questo progetto si è voluto investire molto sull’idea di comunità, sia in senso collaborativo che sociale, immaginando funzioni aggregative attorno a cui si svilupperanno in futuro nuovi innesti di urbanità. È stato lo stesso CEO di Tesisquare, Giuseppe Pacotto, con la moglie, Marcella Brizio, a volere che questo Campus fosse aperto alla comunità locale, e noi li abbiamo aiutati a organizzare questa Visione. Il Masterplan si articola infatti in due parti distinte ma integrate: il Campus Tesisquare e il Digital Innovation Gate. Ne risulta un complesso aperto al territorio, seguendo l’idea che la natura e l’architettura si modellano a vicenda, dando vita alla vera sostenibilità ambientale del progetto stesso.

Questo nuovo edificio presenta facciate in calcestruzzo. Abbiamo scelto di utilizzare questo materiale in chiave “estetica” come è stato fatto con Palazzo Italia. La texture ramificata dell’edificio principale di Expo 2015 era stato infatti realizzato grazie altre 750 pannelli piani e curvi in cemento biodinamico, un brevetto italiano.

Il cemento era senza dubbio il materiale che più si prestava a dare forma al nostro concept, quella che è poi stata definita «un’utopia concreta». Per creare la nostra foresta di cemento abbiamo usato pannelli in cemento miscelato che hanno reso la pelle una componente centrale del progetto. Abbiamo optato per una pelle-schermante appesa e distaccata dalla parte strutturale che non richiedeva a quel punto caratteristiche di faccia a vista. L’innovazione tecnologica l’abbiamo riservata quindi all’involucro realizzato con pannelli prefabbricati che hanno garantito massime prestazioni tecniche ed estetiche, e accelerato la produzione fuori-opera delle lavorazioni.

L’idea di utilizzare il calcestruzzo come elemento “software” – ovvero leggero – invece che come hardware – come siamo solitamente abituati –può diventare uno strumento importante per portare avanti il progetto di sostenibilità riciclando i materiali, riducendo i tempi di produzione e favorendo il riutilizzo dei componenti in futuro. Seguendo un processo di personalizzazione con un’alta componente di standardizzazione, i tempi di cantiere si riducono notevolmente. In Italia è possibile realizzare questi progetti ambiziosi, siamo un Paese capace di grande innovazione e creatività, aspetti che il nostro Sistema Paese dovrebbe sempre più valorizzare.

Il nostro futuro, così come quello delle nostre città, dipende da noi e da quanto crediamo nelle opportunità di cambiamento.

Susanna Tradati
Si laurea con lode in Architettura presso il Politecnico di Milano nel 1999, con specializzazione in progettazione urbana. Nel 2004 inizia la collaborazione con Nemesi, di cui nel 2008 diviene partner associato. Per Nemesi è responsabile delle strategie di Comunicazione e Sviluppo, e ha curato la gestione strategico-operativa di diverse commesse, tra cui Padiglione Italia a Expo Milano 2015 e il nuovo Headquarter Eni a San Donato Milanese. Con Nemesi indaga, attraverso i progetti, le strutture sottese alle dinamiche della contemporaneità, studiandone l’impatto sui linguaggi dell’architettura nell’interazione con le nuove tecnologie.

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