L’acqua, l’oro blu, è un elemento essenziale per la vita dell’uomo sulla Terra che, vista dallo spazio, essendo ricoperta per più del 70% di acqua, è detta il pianeta blu. Ogni essere vivente dipende da essa per sopravvivere e prosperare e ne costituisce una parte decisamente importante: l’uomo è fatto per circa il 60% di acqua, una medusa per il 98%, un’anguria per oltre il 90% e un’orchidea per più del 70%. Da sempre l’acqua ha modellato le civiltà: fiumi, laghi e mari hanno favorito l’insediamento umano e le grandi civiltà sono nate vicino a corsi d’acqua che hanno permesso lo sviluppo economico e culturale.

In Mesopotamia, già nel IV millennio a.C., le civiltà sorsero in prossimità dei fiumi Tigri ed Eufrate e le costruzioni integravano sistemi di irrigazione per sostenere l’agricoltura. Durante l’Antico Egitto, il Nilo era il cuore della civiltà. L’uomo costruì dei pozzi per avere costantemente acqua a disposizione e, intorno al XVII secolo a.C., furono costruiti anche dei pozzi adibiti a “nilometri” per controllare l’innalzamento della falda del Nilo e dunque prevedere le inondazioni dei terreni a valle. La civiltà minoica aveva una complessa e avanzata gestione dell’acqua e nel Palazzo di Cnosso tubazioni in terracotta convogliavano acqua dalle fonti alle varie stanze nel palazzo. Per la civiltà greca, l’acqua aveva un ruolo cruciale nei contesti urbani: le città avevano fontane monumentali per rifornire la popolazione di acqua sorgiva, mentre cisterne e pozzi garantivano la raccolta di acqua piovana e la disponibilità nei periodi di scarsità idrica. In Grecia l’acqua aveva anche un ruolo spirituale, fiumi e sorgenti erano ritenuti sacri e rituali religiosi usavano l’acqua come simbolo di purificazione.
Con i Romani si ebbe la prima vera gestione idrica avanzata: costruirono acquedotti per trasportare acqua dalle sorgenti alle città in percorsi lunghi anche molti chilometri utilizzando pendenze idonee a mantenere costante il flusso. Indubbiamente il sistema di trasporto e distribuzione dell’acqua nell’Impero era un simbolo di ordine, controllo e potenza di Roma, oltre che dimostrazione della superiorità tecnologica e amministrativa. Le opere dei romani erano prevalentemente fatte in opus cementicium, dove gli inerti mescolati con la malta davano luogo, dopo l’indurimento del legante, a un conglomerato di pietrame resistente con caratteristiche simili all’attuale calcestruzzo, ed è per questo che spesso è anche denominato “calcestruzzo romano”. Come avviene oggi con le costruzioni in cemento, la forma dell’elemento da costruire era ottenuta mediante una cassaforma costruita da pietre precedentemente posate, oppure da tavole e da travi di legno. La cassaforma di legno veniva eliminata, come si fa ancora oggi, a maturazione dell’elemento gettato avvenuta e poteva in genere essere riutilizzata. In opus cementicium erano costruite condutture d’acqua, cisterne, terme, impianti di scarico delle acque ma anche abitazioni. L’acqua per i Romani, come anche era successo in forma minore per i Greci, aveva un ruolo sociale e pubblico, basti pensare alle terme, strutture caratterizzanti l’epoca dell’Impero Romano, oppure alle naumachie nei teatri o anfiteatri che venivano appositamente allagati, o anche alle fontane monumentali che celebravano imperatori, vittorie in battaglia o alla costruzione di acquedotti.

Nel Medioevo invece l’acqua assunse il ruolo di funzione difensiva con i fossati dei castelli e delle città fortificate. A questo periodo risalgono anche i primi mulini ad acqua che sfruttano la forza idraulica per azionare ingranaggi capaci di macinare grano o alimentare altre forme di attività produttive. Durante il Rinascimento l’acqua era usata anche per alimentare i giardini all’italiana, con vasche e giochi d’acqua a creare scenografie suggestive. Lo sviluppo dei principi umanistici rinascimentali, legati anche all’ideale di armonia, trasforma l’acqua in un elemento di bellezza estetica, simbolo di purezza e richiamo alla fonte battesimale. È necessario dunque citare l’opera riconosciuta come icona del rinascimento italiano: la Nascita di Venere dipinta da Sandro Botticelli nel 1485 circa e oggi conservata presso gli Uffizi di Firenze. Venere è dipinta con eterea bellezza, trasportata sull’acqua che riempie l’opera, una forza creatrice e feconda che diventa anche elemento prospettico, conferendo profondità alla composizione. Nel periodo Barocco l’acqua, come anche l’architettura in senso ampio, diventa spettacolo, raggiungendo un’apoteosi teatrale: fontane monumentali sono progettate per stupire e celebrare il potere. Tra i più memorabili esiti dell’incontro tra l’acqua e l’uomo possiamo citare una delle fontane più celebri al mondo: la Fontana di Trevi. Fu costruita lì dove termina l’acquedotto romano, risalente ai tempi dell’Imperatore Augusto, dell’Aqua Virgo, ancora oggi in uso, e progettata sulla facciata di Palazzo Poli da Nicola Salvi, su concorso indetto da Papa Clemente XII nel 1731.

Durante la rivoluzione industriale l’acqua divenne una risorsa fondamentale per alimentare le macchine a vapore e si scavarono numerosi canali navigabili per favorire il trasporto di merci e persone. Un modo di intendere l’acqua come infrastruttura, come una “strada” che può essere utilizzata per gli spostamenti e che a volte, sbarrata, diventa fonte di energia, come nel caso delle dighe, costruite in Italia principalmente nel secolo scorso. Infatti, all’inizio del secolo scorso, l’Italia ha visto la realizzazione di alcune delle più importanti opere in cemento armato legate all’acqua, in particolare grazie all’opera dell’ingegner Claudio Marcello, il cui cognome oggi è associato proprio a una tipologia di diga da lui inventata: la diga Marcello, a gravità alleggerita. La sperimentazione in questo ambito ovviamente è strettamente legata al materiale, il calcestruzzo, che viene da Marcello plasmato in blocchi cavi per ottimizzare al massimo l’uso del materiale.

Soffermandoci sul rapporto tra acqua e architettura nel secolo scorso, e limitandoci alla sola Italia, vale la pena di citare le opere di Carlo Scarpa che, da veneziano, ha sempre avuto uno stretto legame con “l’elemento in grado di portare vita alla materia inerte dell’architettura” (Renata Giovanardi, Carlo Scarpa e l’acqua, Cicero editore, Venezia 2006). Nella sua opera più celebre, Tomba Brion, il progettista crea un dialogo straordinario e unico tra il cemento e l’acqua. La tomba è infatti caratterizzata da corsi d’acqua che scorrono attraverso il complesso, formando una connessione simbolica tra la vita e la morte. Scarpa utilizza il cemento in modo da integrarlo perfettamente con il flusso dell’acqua, creando vasche, canali, fontane, che sembrano emergere in modo organico dal terreno. L’acqua è un elemento centrale di tutta la composizione architettonica che ha, oltre a un valore estetico, anche quello spirituale, che guida il visitatore nello spazio offrendo un’esperienza sensoriale di calma e riflessione. Questo accostamento tra il materiale fluido dell’acqua e il materiale solido del cemento esprime l’armonia tra contrasti e la ricerca dell’equilibrio tra le parti.

L’acqua che in realtà è materia senza forma, superficie mobile sulla quale l’architettura si riflette, è stata terreno di sperimentazione anche nel campo della Land Art e, ancora una volta facendo un esempio in Italia, si può citare l’opera The Floating Piers del 2016 di Christo e Jeanne-Claude: un percorso giallo-oro, una nuova linea temporanea per l’orizzonte del lago d’Iseo, che ha permesso all’uomo di camminare sull’acqua, dalla terra ferma ad un’isola, scoprendo nuove sensazioni e prospettive visuali ed emozionali.
In copertina: “Dal verde al grigio”, fotografia di Piero Fabbri presentata al concorso #scaladigrigi 2023.