Sostenibilità

Economia Circolare: il contributo del settore del calcestruzzo preconfezionato

Il riciclo delle risorse del pianeta è considerato uno degli elementi chiave per la sostenibilità. Partendo da questo presupposto, anche le aziende del settore dell’edilizia possono fornire un importante contributo alla circolarità del comparto delle costruzioni, così come individuato nel Circular Economy Action Plan della Commissione EU (2020). Nel piano, si prevede che entro il 31 dicembre 2024 venga introdotta una specifica “Strategy for a Sustainable Built Environment”, che promuoverà nuovi obiettivi in materia di preparazione dei materiali per il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti da C&D e le relative frazioni di materiale specifico. In particolare, per quanto riguarda il contributo del settore del calcestruzzo preconfezionato, le aziende di riferimento possono produrre calcestruzzo preconfezionato e miscele da riempimento con parziale sostituzione degli aggregati naturali, che rappresentano uno dei principali costituenti del calcestruzzo, con aggregati riciclati da calcestruzzo di demolizione o materie prime seconde di origine industriale (aggregati industriali) come, ad esempio, le scorie di acciaieria.

Tuttavia, il mercato degli aggregati di recupero continua a essere poco sviluppato in maniera uniforme sul territorio nazionale. Ciò limita, di fatto, la transizione verso materiali sempre più “green”. Secondo i dati del terzo Rapporto di Sostenibilità della filiera, riferito al triennio 2019-2021 e pubblicato da Federbeton a settembre 2022, sono 16,5 milioni le tonnellate di aggregati naturali utilizzate nel 2021 (+17,6% rispetto al 2020). Nello stesso periodo sono state utilizzate circa 43.000 tonnellate di aggregati riciclati (+12,9%) e circa 21.000 tonnellate (+109,9%) di aggregati industriali. Il tasso di sostituzione degli aggregati naturali con quelli di recupero è 0,39, con un incremento di 0,05 punti percentuali rispetto all’anno 2020, mentre gli aggregati industriali sono il 49,4% di quelli da riciclo.

La totalità delle aziende partecipanti al Rapporto gestisce al proprio interno il calcestruzzo reso indurito, ovvero il calcestruzzo che viene restituito all’impianto nella betoniera nella sua forma umida, a seguito di una consegna in cantiere. Un dato, questo, che si è mantenuto costante rispetto al 2020. Rimane costante al 59% anche la percentuale media del calcestruzzo reso che viene riutilizzato per produrre nuovo calcestruzzo, riutilizzare gli aggregati e l’acqua separati meccanicamente, realizzare manufatti in calcestruzzo. Il calcestruzzo reso riutilizzato è in media lo 0,7% di quello prodotto, con una diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al 2020. Il calcestruzzo smaltito in discarica, invece, è in media lo 0,3% del calcestruzzo prodotto, con -0,6 punti percentuali rispetto all’anno precedente.

PERIMETRO DI RENDICONTAZIONE DELLE AZIENDE DI PRODUZIONE DI CALCESTRUZZO PRECONFEZIONATO

Alla redazione del Rapporto di Sostenibilità hanno partecipato alcune imprese associate ad Atecap, l’Associazione Tecnico-Economica del Calcestruzzo Preconfezionato aderente a Federbeton, per un totale di 349 impianti (l’82% degli impianti associati). Il perimetro rappresenta il 25% della produzione nazionale di calcestruzzo preconfezionato, la quale nel 2021 è stata di 35,8 milioni di m3. Dei 349 totali partecipanti nel 2021, 26 sono gli impianti che hanno doppio punto di carico (a umido e a secco), 308 quelli con punto di carico a secco e 15 quelli con solo carico a umiedededdo. I siti estrattivi di proprietà delle aziende rendicontate sono invece 19.

A partire dalla passata edizione, la Task Force “Rapporto di Sostenibilità” di Federbeton ha deciso di introdurre, fra i dati da raccogliere, anche le stime delle distanze medie di approvvigionamento dei costituenti del calcestruzzo preconfezionato. In base a quanto rendicontato dalle aziende partecipanti, le distanze medie nel 2021 sono pari a 37 km per gli aggregati, 98 km per il cemento, 178 km per gli additivi e 119 km per i costituenti minori, in linea con i dati raccolti per l’anno 2020. Le distanze di approvvigionamento dei principali costituenti del calcestruzzo entrano in gioco nella determinazione delle emissioni indirette di gas serra legate alla produzione del materiale.


I numeri dei rifiuti da C&D

Il settore delle costruzioni e demolizioni (C&D) ha un notevole impatto sull’uso delle risorse. Al fine di ridurre l’impatto ambientale del settore edile, la Direttiva UE 2018/851, che modifica la direttiva 2008/98 relativa ai rifiuti, richiede che almeno il 70% dei rifiuti derivanti da attività di C&D debba essere riciclato e/o recuperato entro il 2020.

In Italia, la produzione dei rifiuti da C&D, che rappresentano la quota principale dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti, è stimata in oltre 65 milioni di tonnellate prodotte nell’anno 2020 (ISPRA, Rapporto Rifiuti Speciali 2022 e Rapporto Rifiuti Urbani 2022), di cui circa 64.8 milioni provenienti dai circuiti degli speciali, classificati all’interno del capitolo 17 dell’Elenco Europeo dei Rifiuti (EER), e 403.000 ton dagli urbani), che totalizzano il 47,5% del totale dei rifiuti non pericolosi prodotti nel Paese, con un tasso di recupero – inteso come preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e altre forme di recupero di materia dei rifiuti da costruzioni e demolizioni – che si attesta intorno al 78%, al di sopra dell’obiettivo del 70% fissato dalla Direttiva 2008/98/CE per il medesimo anno.

Sempre in base ai dati ISPRA, tuttavia, emerge che le forme di recupero maggiormente impiegate per questo tipo di rifiuti sono come aggregati per rilevati e sottofondi stradali. Dati confermati anche dallo studio “L’Italia del Riciclo 2021” (Fondazione per lo sviluppo sostenibile, FISE UNICIRCULAR), secondo il quale il mercato degli aggregati riciclati (AR) ottenuti dal trattamento dei rifiuti C&D è infatti largamente rappresentato (81,2%) dal settore delle costruzioni di infrastrutture (strade, ferrovie, piste ciclabili, ecc.), seguito da riempimenti e altri usi (11,6%), dagli usi legati ai calcestruzzi non strutturali (6,8%) e infine dal confezionamento di calcestruzzi strutturali (0,4%). Ciò è dovuto alla forte eterogeneità dei rifiuti C&D, nonché degli aggregati riciclati (AR) da essi prodotti, in quanto costituiti da frazioni merceologiche differenti quali calcestruzzo, laterizio, legno, plastica, metallo e altro, che non permette l’utilizzo degli AR per la produzione di calcestruzzo per usi strutturali, in base a quanto previsto dalle norme tecniche di riferimento. Una variabilità che è imputabile a una serie di fattori, tra cui riveste grande importanza l’adozione, da parte dei demolitori, di tecniche di demolizione non selettive che generano rifiuti C&D misti.

Per ottenere aggregati riciclati con caratteristiche destinabili a utilizzi di maggior valore, come nel caso della produzione di calcestruzzo per la realizzazione di elementi edilizi strutturali, è fondamentale adottare, ove tecnicamente ed economicamente possibile, una demolizione selettiva, al fine di separare in maniera efficace le frazioni minerali, come il calcestruzzo, dagli altri componenti dei rifiuti delle costruzioni e demolizioni. Nella cosiddetta “filiera C&D a ciclo chiuso”, infatti, sono previste due tipologie di demolizione: quella che prevede la separazione dei soli materiali a elevato valore e/o facilmente smontabili oppure la “demolizione selettiva”, finalizzata al recupero della maggior parte possibile dei materiali, da destinare al riuso o a un riciclo di qualità, in virtù della non contaminazione dei materiali.

La “filiera C&D a ciclo chiuso” origina dal concetto di design “circolare”, con cui si intende la progettazione di un intervento di costruzione o ristrutturazione che includa l’uso di materiali riciclati che non perdano il loro valore o il loro potenziale di riuso al termine della vita utile dell’edificio, ovvero di un edificio progettato per la decostruzione.

La demolizione selettiva: che cos’è

A livello normativo, non esiste una definizione di demolizione selettiva. Tuttavia, esiste una specifica prassi di riferimento, identificata dalla UNI PdR 75:2020 “Decostruzione selettiva – Metodologia per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare”, che definisce un modello operativo per la demolizione selettiva che favorisca il recupero e riciclo. In base alla prassi UNI/PdR 75, la demolizione selettiva consiste nelle operazioni di separazione in frazioni omogenee, anche tramite l’utilizzo di macchinari e attrezzature, aventi come obiettivo primario la massimizzazione di rifiuto da C&D indirizzato al processo di riuso e riciclo (End of Waste). La prassi di riferimento UNI/PdR 75 definisce la “decostruzione selettiva” come la “Demolizione attraverso un approccio sistematico il cui obiettivo è di facilitare le operazioni di separazione dei componenti e dei materiali, al fine di pianificare gli interventi di smontaggio e i costi associati all’intervento e recuperare componenti e materiali il più possibile integri, non danneggiati né contaminati dai materiali adiacenti, per massimizzare il potenziale di riutilizzabilità e/o riciclabilità degli stessi”.

Dal punto di vista operativo, la demolizione selettiva consente la separazione in componenti – tra materiali pericolosi, come ad esempio, l’amianto e i Policlorobifenili (PCB), impianti, tubazioni, materiali isolanti, legno, plastiche, laterizi, calcestruzzo e materiali speciali indesiderati, come il cartongesso e le guaine bituminose, i quali devono essere tenuti opportunamente separati per non contaminare gli inerti – da destinare al recupero o alle specifiche procedure di smaltimento (rifiuti pericolosi). Tanto più completo sarà l’inventario dei materiali esistenti sulla base del quale verrà effettuata la demolizione, con un approccio pianificato, tanto più alto sarà il potenziale di recupero derivante dallo smistamento. I prodotti della demolizione selettiva possono essere reimpiegati tali e quali oppure possono essere riutilizzabili con funzioni differenti da quelle originarie. Solitamente la demolizione selettiva comporta la suddivisione dei rifiuti in:

  • materiali pericolosi
  • componenti riusabili
  • materiali riciclabili
  • rifiuti inerti lapidei
  • rifiuti non riciclabili

La UNI/PdR 75 non è una norma nazionale bensì un documento che definisce una metodologia operativa “volontaria” per la decostruzione selettiva che favorisca il recupero (riciclo e riuso) dei rifiuti derivanti dalla costruzione e demolizione in un’ottica di economia circolare, risultato della collaborazione tra UNI e RPT (Rete Professioni Tecniche). La metodologia descritta nel documento è orientata alla compatibilità con la gestione digitale del processo e delle informazioni. Diversamente nei CAM edilizia pubblica, il piano per il disassemblaggio dei prodotti complessi e la demolizione selettiva dell’opera sono obbligatori.

La prassi di riferimento si completa con l’Appendice A relativa al piano di gestione dei rifiuti di cantiere.
Va ricordato, tuttavia, che le prassi di riferimento sono disponibili per un periodo non superiore a 5 anni, tempo massimo dalla loro pubblicazione entro il quale possono essere trasformate in un documento normativo (UNI, UNI/TS, UNI/TR) oppure devono essere ritirate. (Fonte: https://portale.assimpredilance.it/articoli/uni-e-la-demolizione-selettiva-prassi-di-riferimento-uni-pdr-75-2020). Della demolizione selettiva si sono occupate anche le «Linee Guida recanti criteri e indirizzi tecnici per il recupero dei rifiuti inerti» del SNPA, Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, approvate con delibera n. 89 del 29 novembre 2016, secondo le quali, con questa particolare tecnica di demolizione, sarebbe possibile ottenere un riciclo di alta qualità di ciò che non può che essere qualificato rifiuto.

RIFIUTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE (C&D): COSA SONO

Per “rifiuti da Costruzione e Demolizione” (C&D) si intendono i materiali di scarto provenienti da attività di costruzione o demolizione. Essi sono costituiti prevalentemente da laterizi, murature, frammenti di conglomerati cementizi anche armati, rivestimenti e prodotti ceramici, scarti dell’industria di prefabbricazione di manufatti in calcestruzzo anche armato, frammenti di sovrastrutture stradali o ferroviarie, conglomerati bituminosi fresati a freddo, intonaci, allettamenti.

Nel contesto comunitario, la gestione dei rifiuti fa riferimento alla loro classificazione secondo il Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER). I rifiuti speciali da C&D (Costruzione & Demolizione) appartengono alla classe 17 “Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti contaminati), che raccoglie quasi quaranta tipologie e relativi codici, tra i quali i rifiuti pericolosi sono indicati con il cosiddetto codice a specchio (tramite asterisco). In particolare, con riferimento alle seguenti sottoclassi, vengono identificati:

• 1701 cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche
• 1702 legno, vetro e plastica
• 1703 miscele bituminose, catrame di carbone e prodotti contenenti catrame
• 1704 metalli (incluse le loro leghe)
• 1705 terra (compreso il terreno proveniente da siti contaminati), rocce e fanghi di dragaggio
• 1706 materiali isolanti e materiali da costruzione contenenti amianto
• 1708 materiali da costruzione a base di gesso
• 1709 altri rifiuti dell’attività di costruzione e demolizione

Oltre alla classe 17, in cantiere vengono prodotti altri rifiuti, ad esempio da imballaggi, classificati con la classe 15 o i RAEE con la 16.

Il trattamento dei rifiuti da C&D

In merito al trattamento dei rifiuti inerti da C&D, emerge chiaramente che migliore è la selezione del rifiuto, intesa come suddivisione dello stesso in frazioni omogenee al momento della produzione, più conveniente risulterà il recupero e semplificato il processo di riciclo. Grazie alla selezione del rifiuto, è possibile garantire al materiale riciclato un adeguato livello di qualità in sostituzione dei materiali naturali, e risparmiare sui costi di smaltimento o trattamento. Al giorno d’oggi, tuttavia, la maggior parte dei capitolati relativi ai lavori di demolizione non richiede procedure selettive. Sarebbe quindi opportuno che venisse esteso l’obbligo di adozione della demolizione selettiva, presente nei Criteri Ambientali Minimi (CAM) del Green Public Procurement (GPP) per l’Edilizia (D.M. 23 giugno 2022) anche al di fuori del settore delle opere pubbliche.

Nelle specifiche tecniche di cantiere dei CAM del GPP vengono, infatti, esplicitati i criteri da seguire nella fase di demolizione, secondo i quali, almeno il 70% in peso dei rifiuti non pericolosi generati durante la demolizione e rimozione di edifici o parti di edifici deve essere avviato a operazioni di preparazione per il riutilizzo, recupero o riciclo. Negli stessi vengono inoltre fissati i contenuti minimi di materiale riciclato che ogni tipologia di prodotto o elemento utilizzato nella costruzione degli edifici pubblici deve garantire. Con riferimento all’applicazione dei CAM, è bene precisare che persistono alcune criticità derivanti dalla complessità delle procedure, dalla scarsa conoscenza degli strumenti e dalla mancanza di un monitoraggio efficace. L’introduzione del superbonus 110% ha portato a un’ulteriore estensione dei CAM anche nel settore privato. Tuttavia, lo strumento CAM non ha sortito gli effetti sperati nella spinta alla circolarità e lo scarso controllo sugli interventi finanziati legati al bonus 110% non ha garantito la trasparenza economica e la sostenibilità ambientale dell’operazione. Va inoltre segnalato che, ad oggi, non sono ancora stati emanati i CAM per le opere stradali, che rappresenterebbero una leva importante per il riutilizzo degli aggregati riciclati dal momento che le caratteristiche degli aggregati prodotti in tutta Italia rendono questi ultimi particolarmente idonei a un loro impiego nelle infrastrutture.


Verso un’edilizia “circolare”

Perché si possa parlare di un’edilizia “circolare” è fondamentale migliorare la gestione dei rifiuti prodotti dal cantiere, soprattutto nella fase di demolizione, che a tale scopo deve essere appunto “selettiva”. Come ribadito nel Rapporto Federbeton 2021, «le potenzialità di riciclo dei rifiuti inerti, soprattutto dei materiali da costruzione e demolizione, sono estremamente interessanti per il settore del calcestruzzo preconfezionato, ma le caratteristiche attuali di tali rifiuti e le pratiche applicate alla lavorazione e al tipo di demolizione, ancora troppo poco selettiva, ne limitano fortemente la qualità e le caratteristiche tecniche».

A tal proposito, occorre anche segnalare che i dati ISPRA relativi alla produzione dei rifiuti da C&D sono da lungo tempo oggetto di critiche rispetto alla loro effettiva rappresentatività della realtà della filiera. Questo è dovuto, da un lato, al fatto che gli operatori del settore C&D, nonostante la rilevanza ambientale del relativo flusso di rifiuti, non sono tenuti all’obbligo di dichiarazione MUD (Modello Unico di Dichiarazione Ambientale). Dall’altro, in base anche a quanto riportato nell’ultimo rapporto annuale della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – FISE UNICIRCULAR, al fatto che a livello nazionale, «grandi quantità di rifiuti sfuggono ancora al tracciamento ufficiale a causa di diffusi fenomeni di illegalità che continuano ad affliggere questa filiera nonostante l’impegno delle forze dell’ordine. Inoltre, più problematico è lo scenario descritto dagli operatori». Secondo il rapporto, gli stessi riferiscono di «materiali da costruzione lasciati nei magazzini o comunque non utilizzati nei cantieri per mancanza di mercati competitivi. Il riciclo effettivo è ancora disincentivato dal basso costo e dalla maggiore “sicurezza” normativa dei materiali vergini estratti da cava».

Il riciclo dei rifiuti da C&D nelle attività di costruzione è dunque ancora insufficiente, mentre la quota prevalente è recuperata in rilevati o sottofondi stradali. Implementare e incentivare il riciclo dei rifiuti da C&D per la costruzione di edifici e infrastrutture, anche tramite strumenti quali criteri End of Waste e CAM, è la chiave per ridurre i rifiuti nonché l’uso di materie prime estrattive.

GPP E CAM

Il GPP (Green Public Procurement, ovvero acquisti pubblici verdi) è uno strumento di politica ambientale che intende favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale attraverso la leva della domanda pubblica, contribuendo, in modo determinante, al raggiungimento degli obiettivi delle principali strategie europee come quella sull’uso efficiente delle risorse o quella sull’Economia Circolare. Le autorità pubbliche che intraprendono azioni di GPP si impegnano sia a razionalizzare acquisti e consumi che a incrementare la qualità ambientale delle proprie forniture e affidamenti. Il GPP è stato introdotto in Italia dal 2008 con il Piano d’azione nazionale GPP che ha previsto l’adozione, con successivi decreti ministeriali, dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) per ogni categoria di prodotti, servizi e lavori acquistati o affidati dalla Pubblica amministrazione. Il GPP si qualifica come il principale strumento della strategia europea su “Consumo e Produzione Sostenibile” (COM 2008/397 “Piano d’azione per il Consumo la Produzione Sostenibili e la Politica Industriale Sostenibile”). Per questo motivo il Ministero dell’Ambiente sta affrontando la tematica del GPP unitamente a quella SCP (Sustainable Consumption and Production).

I Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato. In Italia, l’efficacia dei CAM è stata assicurata grazie all’art. 18 della L. 221/2015 e, successivamente, all’art. 34 recante “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” del D.Lgs. 50/2016 “Codice degli appalti” (modificato dal D.Lgs 56/2017), nonché da ultimo mediante l’art. 57 del d.lgs. 36/2023, che ne hanno reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti. Ad ora sono stati adottati CAM per 18 categorie di forniture e affidamenti.

Sfide e impegni del settore del calcestruzzo preconfezionato

Stante le potenzialità di riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione, il settore del calcestruzzo preconfezionato è costantemente impegnato nelle attività di ricerca e sperimentazione sulle miscele realizzate con aggregati di recupero e nel promuovere forme di simbiosi industriale con le imprese del riciclo e con le relative filiere. Tuttavia, come premesso, il mercato nazionale non presenta quantità sufficienti di aggregati riciclati idonei dal punto di vista normativo alla produzione di calcestruzzo strutturale (D.M. 17 gennaio 2018 Aggiornamento delle Norme Tecniche per le Costruzioni, UNI EN 12620), nonostante i CAM per l’edilizia prevedano che il calcestruzzo fornito per le opere pubbliche contenga almeno il 5% in peso di materia di recupero. Tale contenuto deve essere inteso come la somma delle percentuali di materia riciclata, recuperata e di sottoprodotto presente nei singoli componenti (cemento, aggregati, aggiunte, additivi) e deve essere compatibile con i limiti imposti dalle specifiche norme tecniche.

L’obiettivo a cui tendere nel breve periodo sarebbe pertanto la creazione di un mercato per gli aggregati di riciclo di ottima qualità, implementato a livello nazionale. A tal fine, sempre secondo Federbeton, «andrebbero incrementate azioni per lo sviluppo di una demolizione sempre più selettiva, anche nel settore dei lavori edili privati, e allo stesso tempo andrebbero favorite politiche e strategie adeguate a sostegno dello sviluppo del mercato degli aggregati riciclati finalizzate ad aumentare la competitività degli aggregati riciclati rispetto a quelli naturali, alle quali dovrebbero aggiungersi, per promuovere il mercato degli aggregati riciclati “di qualità”, strumenti di incentivazione economica e fiscale, meccanismi premiali da parte delle committenze e l’aumento della tassazione per il conferimento in discarica, ancora troppo conveniente rispetto al riciclo dei materiali. Infine, per superare i pregiudizi culturali, i progettisti dovrebbero essere adeguatamente formati e sensibilizzati alla prescrizione e all’uso dei materiali riciclati. Inoltre, sarebbe necessario attivare il prima possibile il monitoraggio della effettiva applicazione dei CAM nei bandi pubblici e concludere la revisione in atto da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica del Regolamento “End of Waste” (decreto 27 settembre 2022, n. 152) recante i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto per i rifiuti inerti.

A tal proposito, Federbeton ha promosso, nell’ambito della revisione del Regolamento End of Waste inerti, la valorizzazione degli aggregati riciclati anche in parziale sostituzione delle materie prime da cui si produce, attraverso il processo termico di cottura nel forno della cementeria, il clinker, costituente prevalente del cemento, e il cemento stesso. Gli inerti di riciclo e residuali dal riciclo selettivo sono parzialmente decarbonatati e di conseguenza il loro utilizzo riduce le emissioni di CO2 legate al processo di decarbonatazione delle materie prime che avviene all’interno del forno della cementeria. La CO2 proveniente da tale processo costituisce circa il 60% delle emissioni dirette di CO2 dell’impianto di produzione.

COME SI PRODUCONO GLI AGGREGATI RICICLATI

Gli aggregati riciclati sono il prodotto del trattamento dei rifiuti di natura inerte (macerie edilizie, ma anche scarti industriali). La qualità degli aggregati riciclati, in particolare la sua costanza nel tempo, si ottiene esclusivamente mediante un attento controllo del processo di produzione e un adeguato trattamento. Essa è strettamente legata al tipo di rifiuti conferiti all’impianto e al tipo di processo con cui vengono trattati. Allo stato attuale, gli impianti devono essere dotati di fasi meccaniche di macinazione, vagliatura, selezione granulometrica e separazione della frazione metallica e delle frazioni indesiderate.
Dal giugno 2004, l’obbligo di marcatura CE dei prodotti da costruzione (inclusi pertanto gli aggregati di qualunque natura e/o origine) da una parte garantisce maggiormente gli utilizzatori e, dall’altra, consente di distinguere sul mercato i produttori di aggregati riciclati in grado di fornire un prodotto di qualità (Fonte: http://anpar.org/aggregati-riciclati/).

AGGREGATI IDONEI ALLA PRODUZIONE DI CALCESTRUZZO PER USO STRUTTURALE. IL DECRETO MINISTERIALE 17 GENNAIO 2018 NORME TECNICHE PER LE COSTRUZIONI

Nelle NTC (Norme Tecniche per le Costruzioni) 2018, al paragrafo 11.2.9.2, viene fornita la definizione di “Aggregati” idonei alla produzione di calcestruzzo strutturale e nell’annessa Tabella Tab. 11.2.III vengono definiti i limiti di utilizzo degli aggregati grossi provenienti da riciclo in funzione della classe di resistenza del calcestruzzo da confezionare e della percentuale massima di impiego, a condizione che la miscela di calcestruzzo confezionata con aggregati riciclati venga preliminarmente qualificata e documentata, nonché accettata in cantiere. Sono pertanto idonei alla produzione di calcestruzzo per uso strutturale «gli aggregati ottenuti dalla lavorazione di materiali naturali, artificiali, ovvero provenienti da processi di riciclo conformi alla norma europea armonizzata UNI EN 12620 e, per gli aggregati leggeri, alla norma europea armonizzata UNI EN 13055-1».

Tab. 11.2.III del par. 11.2.9.2 del D.M. 17.01.2018


Le Norme UNI EN 12620 e UNI 8520: “Aggregati per calcestruzzo”

La UNI EN 12620:2008 ”Aggregati per il calcestruzzo” è applicabile ad aggregati naturali, artificiali e riciclati, il cui uso è previsto per la realizzazione dei calcestruzzi. Con questa norma, per la prima volta in Italia, si fa riferimento agli aggregati riciclati. Le norme UNI 8520-parte 1 e 2 definiscono le istruzioni complementari per l’applicazione della EN 12620. In particolare, la UNI 8520-2 «specifica le caratteristiche e i requisiti degli aggregati, definiti e classificati in conformità alla UNI EN 12620, destinati al confezionamento di calcestruzzi» di adeguata resistenza e durabilità in funzione della destinazione d’uso.
Nel punto 4.2 della norma, viene fatto esplicito richiamo agli aggregati riciclati e ai suoi possibili utilizzi:

  • Utilizzo totale o parziale di aggregato di riciclo proveniente da demolizione non selettiva (macerie tout-venant), cioè comprendente macerie di diversi materiali per il confezionamento di calcestruzzi non strutturali con classe di resistenza ≤C12/15.
  • Utilizzo totale o parziale di aggregato di riciclo proveniente da demolizione selettiva, cioè di solo calcestruzzo, per il confezionamento di calcestruzzi strutturali con classe di resistenza ≤C20/25.

Per quanto riguarda l’origine degli aggregati, allo stesso punto 4.2, viene specificato che gli aggregati destinati alla produzione di calcestruzzo conforme alla UNI EN 206 possono provenire da giacimenti naturali, scorie siderurgiche e riciclo da materiali da costruzione e demolizione. In riferimento agli aggregati grossi riciclati, si rimanda al prospetto 20 della UNI EN 12620, nel quale gli aggregati riciclati vengono distinti in aggregati di tipo A e aggregati di tipo B (UNI 8520-2:2016).

Patrizia Ricci
Ingegnere civile con un Dottorato in Meccanica delle Strutture, ha perfezionato i propri studi presso il dipartimento di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Bologna, dove ha svolto attività di ricerca nel campo della Meccanica della Frattura, e presso l’Imperial College di Londra. Da diversi anni collabora con le principali riviste tecniche di ingegneria e architettura, efficienza energetica e comfort abitativo, meccanica e automazione, industria 4.0 (settore del Building e dell’Industry) come autrice di articoli e approfondimenti tecnici per i settori di competenza.

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