Foto Statens Vegvesen
InfrastruttureInnovazione

Il ponte di Archimede: l’evoluzione di un principio storico per le infrastrutture moderne

Il «ponte di Archimede» è una soluzione che esiste nel settore delle infrastrutture dei trasporti da oltre un secolo, ma mai realizzata se non in soluzioni ibride negli anni recenti. La Norvegia è stato uno dei primi paesi a credere nelle possibilità offerte da questa soluzione e già dall’inizio del secolo scorso ha studiato, in modo più o meno approfondito, questa struttura proponendola per alcuni attraversamenti. Ma solo con gli studi per le applicazioni lungo la E39, la strada europea che percorre la costa ovest della Norvegia, lunga 1100 km attraverso la frastagliata costa, è stata dimostrata l’effettiva fattibilità dell’opera. Questo per una serie di concause, derivanti dall’utilizzo di tecnologie sviluppatesi solamente negli anni ‘80 nel settore dell’oil&gas e dalla mancanza di studi approfonditi e test, lacuna alla quale l’Amministrazione Pubblica norvegese ha posto rimedio nei recenti anni.

Proposte di applicazione di questa tecnologia, tuttavia, hanno costellato tutta la metà del secolo precedente, dagli studi per i laghi svizzeri, fino all’attraversamento dello Stretto di Messina. Negli anni ‘80 una struttura ibrida, costituita da un ponte di Archimede utilizzato per la protezione di due gasdotti, è stata realizzata in Norvegia. Nell’ultimo decennio, un’altra struttura ibrida, costituita da un ponte sottomarino poggiante su pali è stata realizzata a Stoccolma; la stessa, dal punto di vista statico, ha un comportamento analogo a quello di un ponte di Archimede. Ma nessun «ponte di Archimede», come propriamente viene definito, è mai stato realizzato. Il motivo è da ricercare soprattutto nel fatto che sono sempre esistite soluzioni alternative, come il ponte galleggiante scelto di recente per l’attraversamento del Bjørnafjord, e anche nel fatto che non ci sono linee guida dedicate.

Per questo motivo, la Federazione internazionale per il calcestruzzo strutturale (fib) ha chiesto a un Gruppo internazionale di esperti, che ha in precedenza lavorato con studi di fattibilità ed è stato coinvolto nella ricerca sul ponte di Archimede, di scrivere un documento che potesse diventare la prima linea guida internazionale per questa tipologia strutturale. Dopo più di un anno di lavoro, le linee guida per il ponte di Archimede sono state pubblicate nel mese di novembre 2020 e sono attualmente disponibili per tutti i tecnici che volessero approcciare questa tipologia strutturale. I primi due capitoli, introduttivi e di informazione generale, sono rivolti anche ai proprietari delle infrastrutture e ai non-tecnici che volessero avere informazioni più precise su questa struttura. I capitoli centrali sono invece il cuore delle line guida e hanno uno stampo prettamente tecnico, volti a seguire il tecnico nella progettazione di questa nuova infrastruttura. Le linee guida forniscono non solo un riferimento normative e uno schema procedurale, ma anche dei consigli progettuali basati sull’esperienza diretta degli autori. Nel capitolo conclusivo vengono illustrate le proposte più significative che riguardano il «ponte di Archimede» nell’ultimo secolo. Sempre nel 2020, un altro Gruppo di lavoro è stato coinvolto questa volta dall’Associazione internazionale sui tunnel, nell’ottica di scrivere delle linee guida rivolte al possessore dell’infrastruttura, per aiutare i decisori a capire quando il ponte di Archimede può essere una valida alternativa per un attraversamento e quali sono i suoi vantaggi. Il documento è stato consegnato negli ultimi mesi e, dopo una revisione, sarà soggetto a pubblicazione.

I vantaggi di questa soluzione strutturale la rendono una valida alternativa per molteplici attraversamenti, anche grazie alla flessibilità insita nella geometria stessa: un ponte di Archimede con pontoni galleggianti è totalmente indipendente dal fondale e può ad esempio prevenire conseguenze di dissesti geotecnici, mentre una soluzione con elementi di collegamento al fondale risulta ottimale nel caso di rischio di collisione con grandi navi. L’immersione della struttura riduce al minimo l’impatto visivo, insieme all’inquinamento acustico per l’ambiente circostante, rispetto ad un ponte tradizionale. Inoltre, la profondità di immersione è un metodo naturale per ridurre i carichi sulla struttura stessa del ponte, al contrario di un ponte al di fuori del livello del mare il quale risulta inevitabilmente soggetto, ad esempio, al carico diretto del vento. Ne risulta la possibilità di un tempo di operabilità maggiore, nell’arco dell’anno, rispetto ad altre tipologie di ponti. La lunghezza della struttura, almeno teoricamente, risulta illimitata, data la modularità degli elementi che la compongono, permettendo di pensare a soluzioni non solo per i fiordi norvegesi o per lo stretto di Messina, ma anche a lunghezze più estreme come le soluzioni che sta prendendo in considerazione la Corea del Sud.

In Norvegia il «ponte di Archimede» è una delle soluzioni che si stanno valutando per due attraversamenti della E39, l’autostrada che collega Trondheim con Kristiansand e prosegue fino a ricongiungersi con la E45, l’asse viario misto che arriva fino a Roma. Oggi servono circa 21 ore e sette traghetti per percorrere tutta la costa norvegese, lunga circa mille chilometri ma frastagliata dai fiordi, e sulla quale si muove il 60 per cento delle merci esportate. Un tempo decisamente troppo lungo. Per questo motivo si è iniziato a ragionare sulle alternative. Ma il piano nazionale dei trasporti, il quale prevedeva, in epoca pre-Covid, di sostituire tutti e sette gli attraversamenti con dei ponti fissi, è stato di recente rivisto e, tenendo conto delle incertezze economiche generate da questo ultimo periodo, rivisitato. Il Sognefjord, il più profondo dei fiordi lungo la E39, manterrà il trasporto esclusivo tramite traghetto. Al ponte di Archimede restano due possibilità: il Sulafjord, un attraversamento molto esposto, di circa 4 chilometri, dove il ponte tubolare sommerso compete con un ponte sospeso su piattaforme tradizionali o galleggianti, e il Digernessundet, un attraversamento minore, di circa un chilometro, dove, al contrario della soluzione con ponte sospeso, il «ponte di Archimede» permetterebbe, tra le altre cose, di riutilizzare parte del tracciato oggi esistente in tunnel.

Le soluzioni proposte per le applicazioni norvegesi vedono il calcestruzzo come protagonista nella struttura principale. Questo è dovuto non solo alla grande esperienza europea nella produzione e nell’uso di questo materiale, ma anche negli eccellenti risultati dimostrati nelle applicazioni offshore, dove i tempi di vita utile delle strutture sono stati di recente rivalutati e, in alcuni casi, persino raddoppiati. L’enorme ricerca sul calcestruzzo consente inoltre di pensare a soluzioni ottimizzate per la riduzione dell’impatto ambientale del materiale, minimizzando anche la manutenzione durante la vita della struttura.

Foto in copertina: Statens Vegvesen

Arianna Minoretti
Laureata in Ingegneria Civile indirizzo Strutture al Politecnico di Milano, dal 2004 ha lavorato come progettista strutturale e direttore dei lavori, in Italia e Spagna. Nel 2014 si trasferisce in Norvegia, dove inizia a lavorare per la pubblica amministrazione norvegese dei trasporti nel dipartimento statale di progettazione di ponti. Si occupa della scrittura di normative nazionali e internazionali, è coinvolta in diversi progetti di ricerca sul calcestruzzo e, sin dal 2014, lavora sul progetto della E39, la strada europea sulla costa ovest della Norvegia. Come ingegnere capo, è responsabile degli studi sul ponte di Archimede e ne è il referente per la pubblica amministrazione norvegese. Si è occupata, per il fib (International Federation for Structural Concrete) insieme a un gruppo internazionale di esperti, della scrittura delle prime linee guida internazionali per il ponte di Archimede pubblicate a novembre 2020.

You may also like

Comments are closed.