Questa è l’espressione più convincente per definire i nuovi paradigmi di competitività. Il modello finora conosciuto, basato sullo sfruttamento immediato, dove il ciclo di vita dei beni si è accorciato ed è diventato lineare, è chiaramente insostenibile ed è necessario sempre più far riferimento a modelli economici che siano in grado di sfruttare al massimo e il più a lungo possibile il valore delle risorse stesse, potenziandone l’utilizzo all’interno di ogni fase del loro ciclo di vita.
Tutti i settori industriali, e tra questi anche le costruzioni, non possono più concedersi di pensare a un prodotto per rispondere a un solo bisogno limitato nel tempo e che, terminata la sua funzione, diventa semplicemente un rifiuto. Ciò è insostenibile non solo a livello ambientale per via delle risorse e delle energie limitate, ma anche a livello economico.
La sostenibilità è un tema di grande attualità che viene dibattuto da anni e che sta concretamente diventando un valore per ogni prodotto. Tra questi non fa eccezione il prodotto edile: per la costruzione delle opere, infatti, il mercato richiede sempre più materiali naturali e salubri, materiali e aggregati provenienti dal riciclo, materiali e sistemi innovativi che possano essere riutilizzati a fine ciclo.
Ed è qui che, a mio avviso, si insidia la criticità della politica, che non sembra aver compreso a fondo che economia circolare non è un modello di economia lineare con una buona performance di gestione degli scarti. Economia circolare significa azioni concrete per la mitigazione dei cambiamenti climatici, anche alla luce degli obiettivi imposti a livello mondiale e europeo.
Sono temi strategici che vanno affrontati non dal singolo comparto produttivo, ma dall’intera catena del valore, dalla filiera produttiva al completo, con l’ausilio della politica. Se così non fosse, gli obiettivi degli accordi di Parigi, gli obiettivi di riciclo delle nuove Direttive sull’Economia circolare, non potranno essere raggiunti.
Passare da una produzione di rifiuti a una produzione di materiali riutilizzabili in un contesto di economia circolare richiede due condizioni fondamentali. Innanzitutto, un ripensamento del processo produttivo basato sulla cosiddetta eco-progettazione, ovvero immaginare prodotti riparabili, smontabili, divisibili, le cui parti, a fine ciclo vita, possano essere trattati per essere trasformati in materia prima seconda.
La seconda condizione, dunque, è proprio la realizzazione di impianti per gestire lo scarto. Senza queste condizioni, eco-progettazione e impianti di trattamento, l’economia circolare resterà una bella definizione a cui, se saremo fortunati, corrisponderanno sforzi tesi alla diminuzione degli scarti da indirizzare in discarica o al recupero energetico.
Facciamo l’esempio del calcestruzzo preconfezionato. Questo può dare un prezioso contributo per valorizzare gli scarti dei processi produttivi e degli insediamenti urbani e di ridurre il ricorso alle risorse naturali, tramite l’impiego di aggregati da riciclo o industriali, riducendo così il conferimento in discarica di rifiuti e il ricorso a risorse non rinnovabili.
Anche gli Acquisti Verdi in Italia sono una leva all’uso di materiali riciclati nel calcestruzzo, i recenti Criteri Ambientali Minimi per l’edilizia prevedono un contenuto minimo del 5% in peso sul secco di riciclati nel calcestruzzo, come somma di tutti i suoi costituenti, ma quello che potrebbe essere un incentivo, viene però limitato dall’attuale offerta del mercato degli aggregati riciclati, con l’assurdo di dover compiere anche 300 km per acquistare l’aggregato riciclato adatto e rispondere ai CAM, contro ogni logica economica e ambientale.
Potenzialità enormi che hanno bisogno di condizioni politiche di contesto per esprimersi al meglio, ovvero prevedere in maniera sistematica la demolizione selettiva come modalità per separare in modo efficace le frazioni inerti utilizzabili nel calcestruzzo strutturale, dagli altri costituenti, aumentare la tassazione per il conferimento in discarica, ancora troppo conveniente rispetto al riciclo dei materiali, adottare strumenti di incentivazione e meccanismi premiali da parte delle committenze pubbliche, emanare norme ambientali chiare per utilizzatori e operatori del riciclo sulle regole in base alle quali un rifiuto inerte cessa di essere tale.
Impegniamoci tutti per dimostrare che il sistema Paese sa essere resiliente, capace cioè di reagire in modo positivo agli anni di congiuntura sfavorevole. È una grande scommessa per il futuro, un’opportunità che è d’obbligo cogliere.