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Come realizzare calcestruzzi tailor-made per opere durevoli e sicure

La realizzazione di strutture in calcestruzzo è particolarmente delicata e merita sempre attenzioni particolari. Nella progettazione e realizzazione di tali strutture è importante considerare tutte le soluzioni più efficaci per la mitigazione del rischio di degrado al fine di assicurare la maggiore sostenibilità economica possibile dell’opera durante l’intero ciclo di vita. Per il conseguimento di tale obiettivo, è necessario focalizzare l’attenzione sui materiali impiegati, sulla loro progettazione e prescrizione e la relativa messa in opera. Le voci di capitolato per una corretta prescrizione del calcestruzzo, qualsiasi sia la tipologia di struttura a cui è destinato, devono essere conformi alle normative vigenti, in particolare alle Norme Tecniche per le costruzioni del 2018 e le diverse prescrizioni essere tra di loro congruenti. La congruenza deve riguardare soprattutto la scelta dei rapporti acqua/cemento e delle corrispondenti resistenze meccaniche a compressione. Tali prescrizioni devono coprire tutto l’arco del processo costruttivo e riguardare quindi non solo la resistenza a compressione, ma anche le proprietà che attengono al momento dell’esecuzione dell’opera, come ad esempio la lavorabilità del calcestruzzo al momento del getto. Le figure coinvolte sono diverse: il progettista, che deve definire le voci di capitolato, l’impresa di costruzione, che deve concretizzare il progetto in accordo ai calcoli strutturali e alle corrette regola di posa in opera, il fornitore del materiale, che deve garantire in cantiere un materiale congruente con le prescrizioni del progettista, la Direzione Lavori, che eventualmente può anche modificare le voci di capitolato redatte dal progettista, qualora queste dovessero risultare non complete o soddisfacenti. Tutta la documentazione è finalizzata al collaudo dell’opera, ai fini dell’autorizzazione alla fruizione. Nello specifico, le voci di capitolato sono indirizzate sia al produttore del conglomerato, per quanto attiene alle proprietà degli ingredienti con cui viene confezionato il calcestruzzo – acqua, sabbia, cemento, aggregati, additivi e aggiunte – e alle proprietà del materiale allo stato fresco e indurito; sia all’impresa esecutrice, per le voci finalizzate a migliorare la qualità dell’opera, in particolare la durabilità, in riferimento, ad esempio, agli spessori del copriferro, alle modalità di posa in opera e compattazione – per ottenere un valore minimo della resistenza in opera che faccia sì che l’elemento strutturale sia collaudabile e finalizzato a questo obiettivo – alla modalità e la durata della maturazione umida dei getti, altresì importante per conseguire la collaudabilità e la durabilità delle strutture.

La durabilità

Per poter elaborare una corretta prescrizione di capitolato, ci sono dei requisiti fondamentali da cui non si può prescindere. Uno di questi, il requisito di pre-dimensionamento strutturale, è rappresentato dall’esigenza strutturale che deriva dal soddisfacimento delle sollecitazioni in gioco, di natura sia statica che dinamica, e l’altro è la durabilità. Che cos’è la durabilità? È la capacità dell’opera, e non del calcestruzzo in sé stesso, di resistere alle azioni ambientali mantenendo inalterate le proprie caratteristiche meccaniche nell’arco di un periodo di tempo pari alla vita nominale, cioè al numero di anni durante il quale la struttura deve essere soggetta alla sola manutenzione ordinaria, fissato in funzione dell’importanza dell’opera: 50, per le strutture ordinarie, 100 anni per le opere di importanza strategica. Atteso che una delle principali cause di degrado sia legata alla corrosione, promossa dall’ambiente nei confronti delle armature, è importante che l’innesco del processo di corrosione avvenga preferibilmente quando sia trascorsa la vita nominale dell’opera e quindi lo spessore di ricoprimento netto sull’armatura più esterna, il cosiddetto copriferro, deve essere dimensionato in modo che il degrado avvenga al massimo qualche anno prima del termine di scadenza della vita nominale. A tale scopo sarà necessario garantire anche un omogeneo riempimento delle casseforme all’atto del getto, che tenga conto del congestionamento delle armature e della distanza minima dell’interferro, fattori che influenzano la scelta della dimensione massima degli aggregati utilizzati nel confezionamento del calcestruzzo, nel rispetto della corretta trasmissione delle tensioni di aderenza tra calcestruzzo e acciaio. La durabilità è dunque un requisito progettuale, che concorre, insieme ai carichi statici e dinamici, alla scelta del materiale, del corretto copriferro e alla definizione dei particolari costruttivi finalizzati ad evitare un degrado precoce delle strutture. In realtà, seppure questo concetto sembri oggi evidente, non è sempre stato così. In passato, soprattutto nel periodo del boom economico, le strutture sono state progettate soltanto sulla base delle sollecitazioni statiche e dinamiche, senza preoccuparsi del ruolo dell’aggressione promossa dall’ambiente, in molti casi molto più severa delle sollecitazioni indotte dal sisma o dai carichi statici.

I fenomeni di degrado

Fermo restando che qualsiasi fenomeno di degrado del calcestruzzo è connesso alla presenza di acqua, il degrado può essere di natura esogena e avere una causa scatenante riposta nell’ambiente in cui la struttura è situata, o endogena, quando vengono commessi degli errori, ad esempio nella scelta degli ingredienti. Gli ingredienti possono infatti contenere sostanze indesiderabili, non compatibili con le armature o con i prodotti di idratazione del cemento. Ad esempio, se gli aggregati sono inquinati dalla presenza di gesso, non compatibile con gli alluminati (uno dei componenti principali del clinker di Portland) e con i residui anidri degli alluminati, si determina dapprima la comparsa di fessurazioni e, successivamente, come conseguenza della formazione di ettringite, l’espulsione e la perdita di massa; se gli aggregati sono alcali-reattivi, non compatibili con il sodio e il potassio apportati nel calcestruzzo dai suoi costituenti, si generano invece fenomeni di pop-out, con espulsione di coni di calcestruzzo. Quest’ultimo tipo di aggressione si presenta con un’intensa microfessurazione che porta a una drastica riduzione delle caratteristiche di rigidità del conglomerato cementizio, che sovente richiede l’abbattimento e la ricostruzione dell’edificio. In altri casi il degrado è conseguenza delle particolari condizioni ambientali, quali ad esempio i fenomeni associati a cicli di gelo e disgelo. In questi casi la corretta prescrizione delle caratteristiche del calcestruzzo è l’elemento determinante per assicurare la durabilità dell’opera.

Le strutture soggette a degrado

Di quali strutture dobbiamo preoccuparci? Fatte salve due sole tipologie di strutture, quelle completamente interrate in un terreno non gessoso o completamente immerse in acqua non contenente CO2 libera o solfati, e quelle che operano in un ambiente perfettamente asciutto, tutte le altre sono potenzialmente esposte ad un rischio di degrado. Le strutture potenzialmente soggette a degrado sono tutte quelle a contatto con l’aria e l’acqua, per la potenziale aggressione dell’ossigeno della CO2 dell’acqua, quelle in ambiente marino, non solo a contatto diretto con l’acqua di mare ma anche quelle fronte mare in quanto interessate dal degrado prodotto dal cloruro e dal solfato di magnesio presenti nell’acqua di mare, quelle che vengono a contatto con acque contenenti sali disgelanti – opere stradali, autostradali, impalcati da ponte e sottostrutture nel caso in cui l’acqua non è perfettamente raccolta e instradata – le strutture idrauliche in alta montagna, in quanto possono venire a contatto con acque dolci contenenti CO2 libera, e, infine, le strutture parzialmente interrate a contatto con terreni gessosi, ad esempio i rivestimenti in galleria. I fenomeni di degrado associati a CO2 atmosferica e cloruri riguardano essenzialmente l’armatura metallica posta all’interno del manufatto in calcestruzzo, mentre i fenomeni di degrado associati a solfati, CO2 disciolta in acqua o reazione alcali-aggregato agiscono sulla massa del calcestruzzo. È determinante considerare questa differenza anche per valutare forme alternative di miglioramento della durabilità delle opere quali, ad esempio, armature di rinforzo non soggette a corrosione o protette dalla corrosione con sistemi dedicati (es: protezione catodica).

Gli agenti aggressivi

A seconda della destinazione d’uso della struttura e dell’ambiente in cui si trova, le sostanze “potenzialmente” aggressive sono l’ossigeno, l’anidride carbonica in forma gassosa, l’anidride carbonica in forma di acido carbonico disciolto in acqua, i cloruri e i solfati. Indipendentemente dalla sostanza aggressiva, tutti i processi di degrado promossi, sia dalle sostanze in forma gassosa sia dalle sostanze in forma ionica disciolta in acqua, acquistano un’importanza rilevante dal punto di vista ingegneristico soltanto se queste sostanze “potenzialmente” aggressive possono penetrare all’interno della matrice di cemento. Qualsiasi processo di degrado dipende fortemente dalla capacità di penetrazione dei fluidi. Se infatti, attraverso opportuni provvedimenti, facciamo sì che la penetrazione non avvenga o rimanga confinata nei pochi mm superficiali di una struttura in calcestruzzo, questo degrado può essere ritenuto trascurabile, marginale e non significativo dal punto di vista ingegneristico. L’azione distruttiva è dunque proporzionale alla facilità con cui la sostanza aggressiva penetra all’interno della matrice. Conseguentemente qualsiasi processo di degrado è funzione della porosità del sistema. Premesso che il calcestruzzo è un materiale poroso, con pori capillari di dimensione dell’ordine di una decina di micron, è necessario determinare la porosità capillare totale di un calcestruzzo; se questa è rilevante aumenta la probabilità che i pori siano tra di loro interconnessi e aumenta anche la dimensione media dei pori: questo favorisce l’ingresso delle sostanze aggressive e quindi facilita il degrado. Per impedire ai fluidi aggressivi di penetrare, bisogna ridurre la porosità capillare totale e la dimensione dei pori del calcestruzzo (refinement). Da quanto detto discende che, per realizzare strutture durevoli, in fase di prescrizione, il calcestruzzo dovrà garantire una bassa permeabilità, per preservare la funzionalità dell’opera stessa, e una bassa diffusività agli agenti aggressivi. Entrambi i requisiti sono raggiungibili riducendo il rapporto acqua/cemento del calcestruzzo.

Come realizzare calcestruzzi durevoli

È opportuno sfatare il mito che per fare calcestruzzi durevoli occorrano ingredienti speciali. Gli ingredienti sono sempre gli stessi, acqua, cemento, sabbia, ghiaia, additivi riduttori d’acqua. La differenza sta nella composizione, nelle proporzioni tra gli ingredienti utilizzati. Posto che ingredienti speciali (ad esempio, l’impiego di fumo di silice, additivi self healing) possano migliorare la durabilità, la realizzazione di un calcestruzzo durevole con ingredienti tradizionali richiede semplicemente alcune attenzioni quali un’accurata scelta del rapporto acqua-cemento, che consenta di ottenere una matrice cementizia a bassa porosità che impedisca, o quantomeno rallenti in maniera significativa, l’ingresso delle sostanze aggressive nel conglomerato. La porosità nel materiale si riduce favorendo una maggiore percentuale di cemento che reagisce con l’acqua, da cui deriva l’importanza di una corretta maturazione umida soprattutto del copriferro, preposto alla protezione dell’acciaio dalla corrosione. Atteso che al diminuire del rapporto acqua-cemento aumenta la resistenza meccanica a compressione, se per realizzare un calcestruzzo durevole dobbiamo impiegare dei rapporti acqua-cemento relativamente bassi, consegue che un calcestruzzo durevole è caratterizzato da una resistenza a compressione medio-alta. Inoltre, posto che i fenomeni di degrado connessi con la corrosione delle barre d’armatura iniziano quando la sostanza aggressiva arriva in prossimità del ferro, da quanto detto finora, consegue che il tempo di innesco del degrado è funzione della qualità del calcestruzzo e dello spessore del copriferro. Quindi, oltre a ridurre la porosità intrinseca del materiale, occorre aumentare lo spessore del copriferro.

La penetrazione dei fluidi

I meccanismi di penetrazione dei fluidi aggressivi all’interno di una struttura possono essere di permeazione (penetrazione dovuta al gradiente di pressione all’interfaccia fluido-calcestruzzo), o di diffusione (penetrazione dovuta a un gradiente di concentrazione delle sostanze disciolte nell’acqua e nella fase acquosa contenuta nelle porosità della matrice cementizia). Nel caso di strutture interrate (piscine, canali d’irrigazione, ecc.), ad esempio, si considera come accettabile una profondità di penetrazione massima dell’acqua nel calcestruzzo minore di 20mm (misurata nelle condizioni previste dalla EN 12390-8), a cui corrisponde un rapporto acqua-cemento (a/c) non maggiore di 0,55 e in termini di resistenza una classe C30/37. Ad un rapporto a/c = 0,50, corrisponde invece una penetrazione di 10 mm. Per il ponte di San Giorgio (durabilità di 150 anni), è stato utilizzato un rapporto a/c pari a 0,37-0,38 per la soletta di cemento. L’incremento di massa Q della sostanza diffondente nel calcestruzzo in un certo lasso di tempo t, (∆Q/Δt) è proporzionale alla concentrazione della sostanza stessa nell’ambiente circostante a quello in cui opera la struttura. Agendo sul coefficiente di diffusione, che, a sua volta, dipende dalla natura della sostanza e dalla porosità della matrice, si può ridurre la velocità di penetrazione della sostanza diffondente. Il coefficiente dipende anche fortemente dal tipo di cemento: quelli con loppa d’altoforno (CEM III) e pozzolanici (CEM IV) sono capaci, a parità di rapporto a/c, di legare le sostanze diffondenti, bloccandole, ovvero non lasciandole libere nella fase acquosa e non rendendole disponibili per il processo di corrosione o, più in generale, di degrado. È possibile dunque rallentare il processo di diffusione nella matrice, facendo in modo che non interessi le armature prima della scadenza della vita nominale dell’opera, riducendo la porosità, scegliendo accuratamente il tipo di cemento e intervenendo sulla qualità della zona di transizione, cioè l’interfaccia tra la matrice di cemento e gli aggregati grossi, utilizzando un quantitativo minimo di materiale fine per ridurre l’essudazione del calcestruzzo (bleeding).

Il coefficiente di diffusione dipende anche dal grado di saturazione dei pori capillari, inteso come volume occupato dall’acqua rispetto al volume del poro in cui la stessa è ospitata. I gas diffondono solo se i pori capillari sono sgombri di acqua, quindi diffondono facilmente nelle strutture asciutte, mentre quando la struttura è satura d’acqua, il processo di diffusione dei gas, CO2 e O2, si blocca, come nel caso delle strutture totalmente immerse in acqua. È dunque spiegato il motivo per cui le strutture interrate (travi di fondazione, plinti, travi rovesce, ecc.) e totalmente immerse in acqua (fondazioni, canali, ecc.) non sono soggette a degrado da corrosione, non essendo interessate dai processi di diffusione dei gas, responsabili dei processi di corrosione. Accade il contrario per le sostanze in forma ionica, perché l’unico modo per poter diffondere è quello di essere veicolabili dall’acqua; quindi il processo di diffusione aumenta all’aumentare del processo di saturazione dei pori capillari. La diffusione in forma ionica si determina nelle strutture che vengono a contatto con soluzioni liquide contenenti potenziali aggressivi, come sali disgelanti, cloruri acqua di mare, solfati e CO2 libera, responsabile di fenomeni di carbonatazione. Tra i processi di diffusione, interessano dunque quelli dell’ossigeno, del cloruro e dell’anidride carbonica in forma gassosa, perché possono promuovere la corrosione delle barre, e quelli del cloruro, acido carbonico, ammonio, magnesio e solfati perché possono aggredire direttamente il conglomerato cementizio. Strutture aeree in climi temperati e rigidi (soggette a temperatura ambientale intorno a 0°C e cicli di gelo e disgelo) quali edifici, ponti e viadotti, sono fortemente esposte al rischio di corrosione. Quelle soggette a sali disgelanti ancora di più perché oltre a venire in contatto con CO2, O2 e cicli gelo e disgelo, vengono a contatto anche con il cloruro. Le strutture in zona marina sono a contatto con cloruri e solfati. Ecco perché strutture maggiormente protette sono quelle totalmente interrate e quelle sott’acqua, in ambienti e acque non aggressive.

In generale, ma soprattutto in presenza di gelo-disgelo e sali disgelanti, cloruri, CO2 libera, solfati, ambiente marino, è opportuno l’impiego di cementi pozzolanici (CEM IV) o con loppa d’altoforno (CEM III) che garantiscono una durabilità intrinseca molto più alta rispetto al cemento Portland e Portland di miscela CEM I e CEM II rispettivamente. Questo tipo di cementi apporta anche vantaggi in termini di sostenibilità, grazie al minor tenore di clinker.

Le prescrizioni di capitolato

Nota la destinazione d’uso dell’opera, le azioni agenti sulla struttura (sisma, carico di neve, vento) e la potenziale aggressione che subisce il conglomerato cementizio in virtù dell’ubicazione dell’opera, il progettista definisce per ogni elemento costruttivo le potenziali classi di rischio, o classi di esposizione ambientale, in base alle norme EN 206 e UNI 11104 (NTC 2018 – § 11.2.11). Le classi di esposizione vengono identificate con la sigla X, seguita da una lettera. Ad esempio, le classi XF e XA identificano l’azione aggressiva nei confronti del conglomerato cementizio (F identifica l’attacco dei cicli di gelo/disgelo ed A quello chimico) mentre le classi XC e XD (dove C identifica la corrosione indotta da carbonatazione e D quella da cloruri) si utilizzano per l’azione aggressiva nei confronti dell’armatura. Queste norme suggeriscono anche la classe di resistenza caratteristica del calcestruzzo al di sotto della quale non scendere, quindi il rapporto a/c massimo da non superare da utilizzare per prevenire fenomeni di aggressione ambientale. Si effettuerà un confronto tra le esigenze derivanti dalle azioni statiche e dinamiche e quelle derivanti dal soddisfacimento della durabilità, fissando un rapporto (a/c) massimo da non superare ai fini della durabilità, determinato scegliendo il valore più piccolo tra il rapporto a/c per il soddisfacimento dei prerequisiti del pre-dimensionamento strutturale (a/c)PDS e quello per il soddisfacimento dei prerequisiti della durabilità (a/c)D. Queste operazioni costituiscono la base per la redazione delle voci di capitolato. Eventualmente è possibile prevedere l’utilizzo di additivo aerante per le strutture che ricadono in XF2, XF3 e XF4 (parti di ponti, superfici orizzontali di edifici e strade o pavimentazioni esposte al gelo ed ai sali disgelanti in modo diretto od indiretto) e di aggregati non gelivi per tutti i calcestruzzi destinati alle strutture in XF, compresa la XF1 (superfici verticali esposte ai cicli di gelo-disgelo). Identificato il tipo di calcestruzzo, in base alla vita utile dell’opera e al rischio di aggressione, viene definito anche lo spessore del copriferro, in accordo con l’Eurocodice 2 e la UNI EN 1992-1-1, e si dimensionano gli elementi costruttivi, in accordo con il DM 2018. Il copriferro nominale si ottiene da quello minimo, che deve essere rispettato in tutti i punti della struttura, aggiungendo una tolleranza di 10 mm che garantisca proprio il rispetto dei valori minimi su tutta la struttura. Conoscendo la dimensione degli elementi, la posizione delle armature, il diametro dei tondini, si determina il volume di calcestruzzo, individuando la % di aria che deve contenere il calcestruzzo (fisiologica o volutamente inglobata per rendere il calcestruzzo resistente al gelo) e la specifica per il contenuto di cloruri. Si definisce il controllo di accettazione da adottare in base al volume di calcestruzzo (forfettario, di tipo A, per ridotti volumi, statistico, di tipo B, per volumi superiori a 1500 m3) e si calcola la dimensione massima dell’aggregato con cui confezionare l’impasto, che deve essere commisurata alla sezione minima dell’elemento e, nelle sezioni più congestionate dai ferri, deve avere dimensione inferiore rispetto all’interferro ridotto di 5mm e al copriferro incrementato del 30%. Si assume il valore più piccolo tra i tre, tenendo comunque presente che aggregati di pezzatura superiore a 32mm sono difficili da reperire e che, di conseguenza, il calcestruzzo ha un costo più elevato (fatte salve le strutture di grande massa). Quindi si specifica la lavorabilità al getto consona all’elemento da realizzare, in termini di tavola a scosse con prova del flow (diametro di spandimento) o di abbassamento al cono di Abrams (prova di slump). La scelta spetta al progettista. Fatte salve le pavimentazioni aeroportuali e le pavimentazioni realizzate mediante vibrofinitrici, è opportuno optare per calcestruzzi fluidi e super fluidi per agevolare le operazioni di getto e quelle di compattazione e, soprattutto, per evitare le aggiunte di acqua in betoniera, che aumentano il rapporto a/c, diminuiscono la durabilità e la resistenza meccanica a compressione e accentuano i fenomeni di segregazione. Da ultimo si aggiunge una specifica per limitare la tendenza del calcestruzzo ad essudare acqua, in base alla quale il volume d’acqua di bleeding deve essere inferiore allo 0.1% rispetto al volume dell’acqua di impasto. La specifica di capitolato si compone della specifica sugli ingredienti e quella sul calcestruzzo, composta da 11 voci, nelle situazioni più semplici. Le specifiche sui requisiti per gli ingredienti vanno fatte per evitare che gli stessi producano degrado endogeno o possano avere riflessi negativi sulle prestazioni o sull’estetica del manufatto o influenze sui tempi di lavorazione. Si tratta di requisiti fondamentali che valgono per qualsiasi tipo di calcestruzzo, indipendentemente dalla struttura a cui è destinato, e requisiti addizionali, che riguardano calcestruzzi destinati a strutture esposte ad aggressioni severe o strutture in clima rigido. L’acqua di impasto deve essere conforme alla norma EN1008, mentre gli additivi superfluidificanti devono essere conformi alla norma 934-2. Gli aggregati devono essere marcati CE in accordo alla 12620 e alla UNI 8520-2. Le verifiche vanno fatte in parte prima del getto, attraverso l’acquisizione della certificazione sugli ingredienti, in parte al momento della ricezione del calcestruzzo in cantiere.

Le prescrizioni per le imprese riguardano il copriferro nominale e il criterio di collaudabilità, con resistenza in opera pari all’85% del valore caratteristico di progetto, le modalità e la durata della maturazione umida: indipendentemente dal calcestruzzo e dal periodo di lavorazione, è bene prescrivere una maturazione umida con teli in plastica e geotessuto bagnato ad intermittenza ogni 24h per almeno 7 giorni. Questo perché conta anche la qualità della “pelle” del calcestruzzo, che deve essere opportunamente idratata, altrimenti è più porosa e più scadente, oltre che soggetta alla formazione di fessure.

Il tutto nel rispetto delle normative vigenti. È opportuno precisare infine che il decreto ministeriale indica per il cemento armato normale, in zona sismica, la classe di resistenza caratteristica C20/25. Ma ai fini della durabilità, la classe più blanda in termini di resistenza (XC1, XC2, XF2, XF3, ecc.) è la C25/30. Ciò significa che per il cemento armato normale non bisogna utilizzare mai un calcestruzzo con classe di resistenza caratteristica inferiore a C25/30 e per le strutture precompresse mai inferiore a C28/35.

Il produttore di calcestruzzo

In Italia la fornitura di calcestruzzo per cantiere deve provenire da un impianto provvisto di Factory Production Control (FPC), un sistema di controllo interno della produzione, che viene rilasciato da un organismo terzo, accreditato presso il Servizio Tecnico Centrale del Ministero delle Infrastrutture. Il certificato è riferito all’impianto di produzione e non al produttore. Oltre all’FPC, la Direzione Lavori deve acquisire la certificazione di conformità delle materie prime, per assicurare che il produttore utilizzi esclusivamente ingredienti idonei, e deve richiedere i dati dell’autoproduzione interna (per verificare che la produzione avvenga con valori dello scarto quadratico medio dei valori di resistenza non maggiori di 5 N/mm2 e non si determini disomogeneità nella fornitura).

Luigi Coppola
Ingegnere civile, è docente dei corsi di “Materiali per l’edilizia” e “Materiali per il restauro delle strutture” presso l’Università degli Studi di Bergamo. È autore di oltre 300 articoli e 20 libri su additivi e aggiunte minerali, leganti alternativi al cemento Portland, cementi solfoalluminosi, materiali ad attivazione alcalina e geopolimeri, waste management, durabilità e restauro delle strutture in calcestruzzo, mix design, degrado e restauro degli edifici storici, corrosione e protezione delle armature nelle strutture in c.a. e c.a.p. Attualmente è Presidente dell’American Concrete Institute Italy Chapter ed Editor di numerose riviste nazionali e internazionali. Nel 2000 è stato insignito dall’American Concrete Institute (ACI) e dal Canadian Institute of Materials, Energy and Transportation (CANMET), le massime istituzioni mondiali nel settore dei materiali cementizi, di un award per il “rilevante contributo della durabilità del calcestruzzo", più giovane ricercatore a livello mondiale, e primo italiano a ricevere il prestigioso riconoscimento.

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