Architettura

La bella faccia del cemento

È arrivato il momento di riscoprire la bella faccia del cemento attraverso le pagine del nuovo numero di IIC L’INDUSTRIA ITALIANA DEL CEMENTO.

I pregiudizi lo vogliono grigio e rude, ma il cemento non finisce mai stupire.
Mostrando tutte le sue potenzialità materiche può essere rosso come il porfido, bianco come la madreperla, nero come l’inchiostro, può assomigliare al legno o alle rocce, è perfetto per fissare la memoria ma anche per immaginare il futuro.
Setoso, colorato, elegante, scintillante, così lo vedono le nuove generazioni di progettisti che nelle loro opere ne svelano la bella faccia. “Fair-faced concrete” è in inglese il calcestruzzo a facciavista, non più coperto e camuffato da intonaci, rivestimenti lapidei o strati protettivi, ma di cui si può ammirare la superficie che diventa elemento essenziale dell’opera.
Già con il brutalismo il cemento armato era stato “spogliato” per essere esibito nudo, a vista, con bene impresse sulla superficie le venature delle casseforme usate per sagomarlo, ma solo successivamente si trasforma da materiale per strutture a materiale per superfici. Un percorso che passa da Le Corbusier, a Kahn, a Scarpa e, a tappe forzate, fino a Tadao Ando. Proprio a Tadao Ando è dedicato un omaggio in questo numero. Protagonisti di questa nuova immagine architettonica sono i muri, che prendono il posto delle colonne cui l’affermazione del telaio ha ormai rubato “il carattere sacrale, il ritmo” (come dice Ando). Muri con ben incise le tracce della loro realizzazione, nella quale si combinano abilità artigianale e tecnologia moderna: lisci e satinati come quelli di Kahn, astratti e monocromatici nell’interpretazione di Ando.
E le nuove generazioni, quelle che hanno cominciato a lavorare al fine del secolo o addirittura nel nuovo millennio, continuamente spostano in avanti l’asticella della sperimentazione, in cerca di un’immagine sempre più pregiata, cangiante, pastosa, lussuosa ma anche semplice, essenziale, raffinata.
Così ecco il cemento spirituale della Chiesa di Benedetta Tagliabue, quello carico di memoria di San Rossore 1938 e del Mausoleo di Michniow, quello che evoca il porfido rosso locale della Scuola di musica di Bressanone di Carlana Mezzalira Pentimalli e quello bianco madreperla della scuola di Marsiglia, quello camaleontico che sembra legno della casa di accoglienza di Anieres, quello liscio ed elegante di Renzo Piano a Los Angeles e di Steven Holl a Shangai, quello estruso nel laboratorio futurista di Philippe Block. E poi la sperimentazione recente della Scuola cinese, che del cemento a facciavista ha fatto il cuore della sua ricerca compositiva. Insomma, il cemento non finisce mai di stupire, al punto di aver sollecitato la fantasia di un regista visionario come Wes Anderson che nel suo ultimo film, in un tripudio di materia e colori, dedica un intero episodio al “Capolavoro di cemento”.


In copertina: Scuola di Musica di Bressanone, Illustrazione di Paolo Metaldi

Tullia Iori
Professore Ordinario presso la Macroarea di Ingegneria dell'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Dal 1994 conduce le sue ricerche indagando la storia della costruzione e dell'ingegneria strutturale, con particolare riferimento alle applicazioni relative alla conservazione. Dal 2012 è co-Principal Investigator nel progetto SIXXI dedicato alla Storia dell'ingegneria strutturale italiana e guida il lavoro del gruppo di giovani ricercatori coinvolti. Autrice di numerose pubblicazioni sulla storia delle costruzioni, ha curato diverse mostre sul tema dell'ingegneria strutturale italiana.

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