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Calcestruzzo: la soluzione al dissesto idrogeologico, all’erosione delle coste e ai cambiamenti climatici

Introduzione

Il dissesto idrogeologico, l’erosione delle coste marine e i cambiamenti climatici determinati dal lento, ma (per il momento) inesorabile, riscaldamento globale del pianeta costituiscono un tema di fondamentale importanza per l’Italia per gli inevitabili impatti che essi producono sulla popolazione, sugli edifici, sulle infrastrutture delle linee di comunicazione e in cascata sull’apparato economico e produttivo.

La forte urbanizzazione, iniziata sin a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, che ha triplicato le superfici “artificiali” dagli anni Cinquanta ad oggi, infatti, ha determinato in molti casi, a seguito di una non corretta pianificazione territoriale, un decisivo incremento delle aree esposte al rischio di alluvioni e frane. Negli ultimi decenni, inoltre, una consistente porzione delle coste italiane (circa 3.000 km), prevalentemente sabbiose, è interessata da fenomeni erosivi che per effetto dell’arretramento della linea di riva hanno creato non pochi problemi per la sicurezza di numerose linee di comunicazione sia stradali che ferroviarie, oltre ad aver seriamente compromesso le attività legate al turismo balneare.

La risoluzione al problema del dissesto idrogeologico deve costituire uno dei temi centrali di salvaguardia e sviluppo del territorio se si tiene conto che la quasi totalità dei comuni (7.275: il 91% del totale) è a rischio per frane e/o alluvioni e che il numero di abitanti coinvolti varia tra 1,3 milioni circa (rischio frane) e 6 milioni (rischio alluvioni). Le frane in Italia, Paese dell’Unione Europea con il maggior numero di eventi censiti (621.000 circa su 900.000 dell’intera UE) coinvolgono 27.000 km2 (pari all’8% circa del territorio nazionale) e sono, principalmente, legate alla particolare conformazione orografica del Paese (per il 75% di natura montano-collinare). Sono, quindi, proprio le aree alpine, prealpine e appenniniche a essere interessate dal maggior numero di eventi franosi, anche se le frane con maggior impatto, anche in termini di perdite di vite umane, hanno interessato la Liguria, la Campania e la provincia di Salerno, in particolare.

I fattori che determinano l’innesco dei movimenti franosi, al di là di quelli conseguenti all’azione sismica, sono legati alla realizzazione delle strade, ai tagli stradali, alla realizzazione di scavi, ai sovraccarichi derivanti dalla realizzazione di edifici o di rilevati stradali.

Per quanto riguarda le alluvioni, sebbene in molti casi rappresentino dei fenomeni naturali che non si possono prevenire, è evidente che alcune attività antropiche legate all’incremento dell’urbanizzazione e, quindi, alla crescita sia degli insediamenti urbani che delle attività economiche, possano determinare una riduzione della capacità di filtrazione dei terreni naturali che, unitamente alla riduzione delle aree di naturale espansione delle piene dei fiumi, contribuiscono a incrementare gli effetti e le conseguenze delle alluvioni. Anche per questi fenomeni bisogna, tuttavia, ricordare che l’Italia per le caratteristiche morfologiche, che concedono pochi spazi ai fiumi per la ridotta distanza tra la montagna e il mare, presenta una particolare vulnerabilità nei confronti delle alluvioni soprattutto in presenza di eventi meteorologici brevi, ma molti intensi, favoriti dal cambiamento climatico in atto sul pianeta.

Non meno importante il problema dell’erosione delle coste riconducibile sia a cause naturali che di natura antropica che agiscono sui bacini versanti (estrazioni in alveo, invasi artificiali, rimboschimenti, opere di sistemazione idraulica) o lungo le stesse aree costiere (porti, foci, opere di difesa). Le più recenti analisi sull’erosione costiera individuano nel cambiamento climatico l’amplificazione degli effetti erosivi come conseguenza dell’innalzamento del livello del livello del mare, connesso proprio al fenomeno del riscaldamento globale, che estremizza l’arretramento della linea costiera determinata dalle cause di natura antropica.

Le aree costiere, in Italia, costituiscono una importante risorsa economica, per una maggiore densità di centri urbani oltre che per la presenza delle attività legate alla pesca e al turismo balneare. L’intensa urbanizzazione, infatti, determina un’inevitabile consumo di suolo per le attività antropiche che unitamente agli episodi di ingressione marina legati ai cambiamenti climatici produce un’esacerbazione dei fenomeni erosivi. Questa perdita di suolo, determina non solo una riduzione delle potenziali aree destinate allo sviluppo turistico, ma anche un impatto negativo in termini paesaggistici e ambientali unitamente a una riduzione della biodiversità. La vulnerabilità dei beni nelle fasce costiere, oltre, alle aree di valenza naturalistica, coinvolge le infrastrutture delle linee di comunicazione (spesso di importanza strategica), i centri urbani, i beni archeologici e impatta negativamente sulle attività legate al turismo in generale e su quelle economiche come gli impianti ittici collocati nella zona di transizione mare-terra che vengono fortemente esposti al rischio derivante dai fenomeni erosivi delle coste.

Prevenzione del rischio

Molto spesso, e a torto, si parla di “cementificazione” del territorio enfatizzando con questo termine una diretta responsabilità del “cemento” (accezione impropria per indicare il calcestruzzo di cui il cemento è il costituente più importante) nell’aumento degli eventi franosi, delle alluvioni e dell’erosione delle coste.

In realtà, la vera responsabilità dei danni diretti e indiretti prodotti da questi fenomeni è da ricercare, non tanto nel materiale, quanto nella carenza di una specifica normativa che imponesse di considerare i fenomeni naturali come le frane, le alluvioni e l’erosione delle coste nella pianificazione urbanistica e territoriale. Questo vuoto legislativo è durato dal 1923 (Regio Decreto n.3267 che regolava la gestione dei boschi la sistemazione idraulico forestale dei bacini montani) al 1989, anno in cui è stata approvata la legge n. 183 che, in maniera organica, ha proceduto al riassetto della difesa del suolo, individuando i bacini idrografici (assegnati, in accordo alla direttiva 2000/60/CE, a singoli distretti idrografici che rappresenta la principale unità di gestione dei bacini) come base per una protezione finalizzata alla prevenzione/mitigazione degli effetti dei fenomeni idrogeologici, istituendo le autorità di bacino responsabili della redazione di strumenti indispensabili per la programmazione degli interventi di sistemazione e protezione del territorio finalizzate alla prevenzione dei fenomeni franosi e delle alluvioni.

Questa carenza normativa si è riflessa anche in una assenza di un censimento degli eventi franosi e delle aree a maggior rischio impedendo di fatto una pianificazione urbanistica e territoriale intelligente ed efficace, con il risultato che si è costruito anche in quelle aree ove oggi opereremmo soltanto interventi di demolizione e/o di messa in sicurezza di infrastrutture ed edifici esistenti, ove si procederebbe alla sola costruzione di linee di comunicazione non delocalizzabili e senza un’alternativa tecnica valida e sostenibile. Emerge chiaramente, quindi, da questa disamina come il termine “cementificazione” sia del tutto improprio e come le vere responsabilità siano legate a un consumo del suolo avvenuto con una carente o assente pianificazione territoriale che ha consentito, impropriamente, di costruire insediamenti abitativi, commerciali e infrastrutture laddove le stesse non sarebbero dovute essere realizzate.

Se proprio si vuole addossare una “colpa” al cemento (calcestruzzo) questa va ricercata nella sua estrema versatilità, adatto per qualsiasi applicazione, che non trova eguali in nessun altro materiale da costruzione (acciaio, legno, pietra, mattoni), che consente di costruire edifici, strade, ponti, dighe. È proprio questa versatilità che rappresenta il punto di forza del calcestruzzo che, impiegato per la realizzazione di interventi a salvaguardia del territorio correttamente pianificati da strumenti efficaci che tengano conto della specificità delle aree ove si interviene, può consentire di effettuare qualsiasi opera di sistemazione e protezione finalizzata alla prevenzione del rischio legato agli eventi franosi, alle alluvioni e all’erosione delle coste. Si apre una nuova stagione per il calcestruzzo, quindi, partner dei progettisti, dei pianificatori urbanistici e del territorio, degli ingegneri stradali, di tutti colori coinvolti negli interventi a protezione del territorio adatto per qualsiasi costruzione: una specificità che nessun altro materiale da costruzione può vantare.

Questa nuova stagione per il calcestruzzo deve essere correttamente inserita in una visione organica di pianificazione territoriale che muove da una mappatura delle aree a maggior rischio connesso con i fenomeni idrogeologici e legati all’erosione marina che porti a individuare gli interventi più efficaci di protezione e salvaguardia del territorio, la maggior parte dei quali senza il conglomerato cementizio non potrebbero essere realizzati. Una nuova stagione, quindi, con il calcestruzzo al centro del processo virtuoso di pianificazione degli interventi di protezione e salvaguardia del territorio che muove da un’attenta mappatura delle aree a rischio idrogeologico.

Relativamente a questo aspetto, grandi passi in avanti sono stati compiuti e, oggi, l’Italia può vantare una delle più puntuali e chiare mappature delle aree a maggior rischio che ci consente di pianificare gli interventi di messa in sicurezza del territorio per i quali il calcestruzzo si presenta come il materiale adatto per tutte le soluzioni, nessuna esclusa. Se si considerano sia le aree a rischio frana che quelle a pericolosità idraulica, emerge – come peraltro già precedentemente evidenziato – che la quasi totalità (il 91,1%) del territorio italiano necessita di una attenta pianificazione degli interventi di prevenzione e mitigazione degli effetti derivanti dai movimenti franosi e dalle alluvioni (Fig. 3.22), interessando più di 7.000 comuni. In sostanza, opere di salvaguardia che debbono capillarmente interessare il territorio e come tali da realizzare con un materiale – non solo che si adatti a qualsiasi intervento ma che sia disponibile in ogni area del Paese. È chiaro che il calcestruzzo si presenti come materiale “principe”, non solo per la sua versatilità, ma anche per la disponibilità in qualsiasi area se si tiene conto che sul territorio nazionale sono presenti circa 1.000 impianti di betonaggio capaci di fornire in ogni momento dell’anno anche i cantieri situati nelle zone più remote e per opere di sistemazione montana.

Oltretutto, lo sviluppo tecnologico negli ultimi decenni nel settore della tecnologia del calcestruzzo consente, scegliendo opportunamente sia i tipi di cemento che di additivi, di alimentare i cantieri senza arrestare il processo costruttivo anche in condizioni avverse rappresentate sia dalle alte che dalle basse temperature.

In sostanza un calcestruzzo non più “acqua, cemento, sabbia e ghiaia”, ma un materiale evoluto ove il tipo/classe di cemento viene scelto in base alle esigenze di cantiere e alle condizioni di esposizione ambientale, alle dimensioni e forme degli elementi da gettare, tagliato su misura (tailored) per qualsiasi applicazione, per realizzare strutture snelle o massive durante la stagione calda, ma anche durante il rigido clima invernale. Progettato (mix-design) per tener conto delle difficoltà realizzative e allo stesso tempo per garantire sicurezza strutturale e durabilità. Tutto questo va nell’ottica di una riduzione dei tempi di realizzazione di lavori “di messa in sicurezza” che, per ovvi motivi, spesso rivestono carattere di urgenza e che, pertanto, debbono essere portati a termine in tempi rapidi in quanto eventuali ritardi potrebbero portare a conseguenze dannose per l’alto rischio connesso con il manifestarsi di eventi che presentano la caratteristica di essere a volte imprevedibili e, soprattutto, inevitabili.

Si tenga anche conto che, in Italia, la necessità di provvedere a una celere ultimazione degli interventi finalizzati alla prevenzione dei danni conseguenti a questi eventi calamitosi è ancor più stringente in quanto, oltre alla salvaguardia del territorio, vi è un impellente necessità di preservare i beni architettonici, monumentali e archeologici evitando che possano subire danni permanenti e spesso irreversibili. Il nostro Paese, infatti, ha il primato mondiale dei siti UNESCO tanto da poter parlare di un vero e proprio museo a cielo aperto con oltre 200.000 beni che dal punto di vista economico rappresentano un terzo del PIL del turismo in Italia.

Per quanto riguarda l’erosione marina, allo stesso modo di quanto avviene per prevedere il rischio idrogeologico con l’individuazione dei bacini idrografici, l’unità “fisiografica” costituisce la base territoriale di riferimento per prevedere la complessa evoluzione legata alla sovrapposizione di fattori naturali (correnti, moto ondoso, apporti sedimentari, etc.) e di natura antropica (costruzione di opere costiere, attività estrattive etc.). Oggi siamo in grado di pianificare gli interventi da attuare in questa unità fisiografica, grazie a una attenta valutazione della riduzione degli apporti di materiale fluviale conseguente sia alle attività estrattive, che alla costruzione di dighe lungo i fiumi, alla sistemazione dei bacini montani. Questi fattori, analizzati in combinazione con gli effetti prodotti dalla costruzione di porti, dall’estrazione di gas e acqua in aree vicine al mare e dall’utilizzo delle fasce costiere sia per la realizzazione di insediamenti legati alle attività economiche che per villaggi e porti turistici, consentono di avere un quadro sufficientemente esaustivo e una conoscenza della dinamica costiera che permette di pianificare, programmare e progettare interventi che possano risultare efficaci e duraturi. Solo con una visione programmatica e di insieme di questi fenomeni inseriti nell’unità fisiografica si possono raggiungere i risultati attesi.

Ancora una volta si intuisce come “la cementificazione delle coste”, sia un termine del tutto improprio che vuole addossare al calcestruzzo responsabilità che, invece, in maniera chiara e lampante ricadono per gli interventi a difesa dei litorali effettuati in passato in una mancanza di una chiara visione dei fenomeni, della loro evoluzione nel tempo, che ha portato nei decenni precedenti a interventi “a spot”, isolati, non inseriti come correttamente avrebbero necessitato in un contesto generale, in quella unità fisiografica che costituisce la base per qualsiasi intervento efficace di protezione delle coste.

Emerge chiaramente come le “responsabilità” del materiale siano solo legate alla sua versatilità e che le vere colpe siano da ascrivere a scelte programmatiche, progettuali e realizzative erronee, basate su interventi isolati avulsi dal contesto più complesso rappresentato dall’unità fisiografica.

Se teniamo conto di questo, e avendo maturato come la difesa delle coste debba avvenire proprio sui modelli previsionali basati sull’evoluzione dei fenomeni naturali e quelli legati alle azioni antropiche, per il calcestruzzo si apre una stagione “nuova”, un partner ideale, un materiale indispensabile, se vogliamo insostituibile, per realizzare opere a difesa della costa, purché inseriti in un contesto programmatico, a uno scenario più generale legato proprio alle dinamiche dell’unità fisiografica.

È in quest’ottica che gli interventi richiesti, come meglio verrà specificato nel seguito, per conseguire obiettivi molteplici e diversificati, a seconda del contesto meteomarino locale non possono che essere realizzati con il calcestruzzo, in quanto nessun altro materiale da costruzione presenta la versatilità richiesta per attuare le innumerevoli soluzioni previste per le opere a difesa della costa.

Il calcestruzzo

LA SOLUZIONE PER GLI INTERVENTI DI PREVENZIONE E MITIGAZIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO

La corretta progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico deve svilupparsi necessariamente in un contesto multidisciplinare che coinvolga aspetti legati all’idraulica, all’idrogeologia, alla geologia/ geotecnica, alla scienza e tecnica delle costruzioni, alla scienza della terra e alle scienze naturalistiche oltre che a quelli
legati all’urbanistica, al paesaggio all’agronomia. Sebbene ogni bacino presenti delle caratteristiche proprie e, quindi, risulti difficile generalizzare su quali debbano essere le priorità e la stessa modalità di realizzazione dei lavori, le opere di prevenzione/mitigazione del rischio idrogeologico possono essere ricondotte a quattro tipologie principali:

  1. Opere aventi lo scopo di sistemazione dei versanti e realizzate a difesa di strade, ferrovie, beni demaniali oppure poste a protezione di borgate, villaggi e città.
  2. Opere finalizzate a migliorare il regime di un corso d’acqua o a contenere l’acqua di fiumi e torrenti, ma anche di dighe per prevenire fenomeni di straripamento e inondazioni.
  3. Opere realizzate lungo i fiumi provvisti di argine e sui corsi di acqua in esso confluenti.
  4. Opere che si prefiggono come obiettivo quello della conservazione dell’alveo dei fiumi.

In tutte queste tipologie di opere, il calcestruzzo, come meglio verrà specificato nel seguito, riveste un ruolo fondamentale in quanto nessun intervento di prevenzione/mitigazione del rischio del rischio idrogeologico potrebbe essere portato a termine senza far ricorso al conglomerato cementizio.

Una nuova stagione si apre per il “cemento”, un partner ideale che inserito in un corretto progetto
di prevenzione/mitigazione del rischio che abbia preso in esame tutti gli aspetti multidisciplinari sopra menzionati si presenta come materiale di eccellenza senza il quale nessun intervento potrebbe essere realizzato. Una nuova stagione in cui il termine “cementificazione” acquista un’accezione positiva e diventa sinonimo di sicurezza strutturale, paesaggistica e ambientale.

Un “unicum” che consente la realizzazione sia di interventi a protezione dei versanti che di regimentazione dei corsi di acqua, un materiale che non ha eguali: nessun altro materiale da costruzione si adatta a tutte le richieste progettuali ed esecutive richieste dalla molteplicità di interventi a salvaguardia del territorio.

Nel caso degli interventi di sistemazione dei versanti interessanti da frane di superficie si provvede alla realizzazione di un fosso di guardia a monte per convogliare le acque superficiali provenienti dall’alto eventualmente separato dalla frana da una palificata che impedisca al versante in movimento di spostarsi verso l’alto danneggiando la vasca di raccolta. È ovvio che questo intervento non può che essere realizzato facendo ricorso al calcestruzzo. Un materiale durevole, “non più acqua, cemento, sabbia e ghiaia”, ma progettato su misura per resistere all’azione dilavante di queste acque che, soprattutto nei bacini montani, possono presentare caratteristiche di aggressività legate alla presenza di acido carbonico.

Un materiale durevole anche per la palificata, che potrebbe trovarsi a contatto con terreni gessosi. Un calcestruzzo “tailored” per la specifica applicazione, confezionato con cementi resistenti all’azione dilavante dell’anidride carbonica libera sciolta in acqua oppure con cementi resistenti ai solfati che unitamente all’adozione di un rapporto a/c relativamente basso permette di realizzare opere durevoli riducendo al minimo il costo di manutenzione della struttura. Nel caso delle frane profonde e di modesta entità la protezione mediante muri di sostegno in c.a. unitamente alla realizzazione di una serie di drenaggi sotterranei rappresenta una valida tecnica di intervento. La protezione di infrastrutture viabilistiche e ferroviarie dai rischi derivanti dal movimento dei versanti si ottiene mediante gallerie paramassi in c.a. rivestite in sommità da un ricoprimento in terra che smorzi l’energia di impatto derivante dal movimento franoso. I campi di applicazione del conglomerato cementizio sono illimitati.

Nel caso dei torrenti, l’acqua – oltre a trasportare a valle i materiali che scendono dai versanti – erode anche il letto del fiume, che abbassandosi determina la nascita di frane per erosione al piede. Uno degli interventi tipici di sistemazione è quello di ridurre la velocità della corrente diminuendo la pendenza mediante la realizzazione di briglie di consolidamento in calcestruzzo. Materiale versatile da utilizzare anche per questa applicazione ove in corrispondenza dei salti realizzati per diminuire le pendenze è necessario un calcestruzzo resistente sia
al dilavamento che all’azione abrasiva del materiale lapideo trasportato dalla corrente
. Un calcestruzzo ottenuto ancora una volta con una scelta oculata del cemento, degli aggregati e degli additivi per conseguire sia gli obiettivi di stabilità della briglia, che di sicurezza strutturale e di durabilità.

Quando il volume di materiale che arriva nell’alveo del torrente è maggiore di quello che la corrente riesce a trasportare il letto si alza. In questi casi, è necessario realizzare delle briglie di trattenuta per evitare che
il materiale accumulatosi nell’alveo possa mettersi in movimento generando colate detritiche molto pericolose per le zone di valle. Queste opere sono traverse del tipo chiuso o aperto in calcestruzzo armato a formare un bacino di accumulo stabile.

La sistemazione può avvenire per evitare erosioni di fondo senza dover rialzare l’alveo con le briglie e nei tratti a pendenza ridotta nell’attraversamento di centri abitati, ricorrendo a un cunettone formato da muri di sponda con scarpa e fondo in calcestruzzo armato in quanto questo tipo di struttura sopporta anche acque che scorrono a velocità relativamente elevate (8-10 m/s). Inoltre, le briglie o traverse tracimabili, una volta realizzate in pietrame o in legno, oggi vengono completamente realizzate in c.a. per motivi sia di carattere tecnico che economico. Il calcestruzzo si presenta particolarmente adatto per la realizzazione di briglie a mensola costituite da una parete verticale incastrata su una scarpa di base di lunghezza maggiore verso monte che garantisce maggiore stabilità in quanto beneficia dell’effetto stabilizzante del peso del terreno e/o dell’acqua. Anche per le briglie aperte capaci di trattenere soltanto il materiale di più grande dimensione, lasciando invece che gli elementi fini passino a valle, si ricorre al conglomerato cementizio realizzando contrafforti in c.a. capaci di far fronte sia ai carichi statici che alle elevate azioni dinamiche cui queste opere sono sottoposte.

Per la protezione delle sponde di un corso d’acqua si ricorre alla realizzazione di opere longitudinali con sviluppo prevalente nella direzione della corrente fluviale. Si tratta di muri di sponda in calcestruzzo armato largamente diffusi in tronchi fluviali che attraversano i centri abitati. Il calcestruzzo presenta per queste strutture il vantaggio di essere staticamente sicuro sia nei confronti del peso proprio, dell’azione derivante dalla spinta idrostatica della corrente, di quella del terreno sostenuto oltre che della sottospinta dell’acqua esercitata attraverso il terreno di fondazione.

I muri di sponda possono essere del tipo impermeabile o permeabile. È evidente come nel primo caso non ci sia miglior materiale del calcestruzzo per conseguire una struttura a tenuta idraulica con valori del coefficiente di permeabilità K dell’ordine di 1013m/s. Anche per i muri di sponda permeabili, realizzati con murature in pietrame a secco, si apre la possibilità di impiego del conglomerato cementizio “drenante” realizzato mediante un calcestruzzo povero di sabbia in modo da lasciare una serie di macrovuoti attraverso cui l’acqua può permeare.

Oggi la ricerca in questo settore della tecnologia del calcestruzzo è così avanzata da mettere a disposizione calcestruzzi drenanti con una capacità di filtrazione modulabile a seconda delle esigenze e che nel contempo possiede prestazioni meccaniche eccellenti consentendo effettuare interventi di regimentazione dei corsi d’acqua in maniera decisamente più celere di quanto possa avvenire per la realizzazione delle sponde in pietrame.

L’inserimento paesaggistico di questi muri di sponda può avvenire non solo ricorrendo alla realizzazione di un impianto di vegetazione ma anche conferendo al calcestruzzo, mediante pigmentazione, la colorazione
che meglio mimetizzi l’intervento adattandolo al paesaggio.


Ulteriori interventi sono quelli realizzati per difendere le sponde dall’azione erosiva esercitata dalla corrente
idrica e dagli agenti atmosferici
oltre, in alcuni casi, per migliorare le condizioni di stabilità della scarpata. Spesso questo intervento si rende necessario per armonizzare il rilevato arginale con l’ambiente e per ottenere un miglioramento dell’impermeabilizzazione del rilevato. L’utilizzo del calcestruzzo permette di realizzare una notevole varietà di tipologie di rivestimento, confermando l’estrema versatilità del materiale.

Questi rivestimenti possono essere del tipo rigido o flessibile costituiti da lastre armate gettate in opera o del tipo prefabbricato. Inoltre, i rivestimenti possono essere anche del tipo permeabile realizzati in blocchetti di calcestruzzo cellulare posti a incastro. Per le opere di stabilizzazione dell’alveo, si ricorre alla realizzazione di briglie trasversali in c.a. che hanno lo scopo di fissare la quota di fondo nella sezione in cui vengono realizzati. Largo impiego del calcestruzzo, infine, si riscontra nelle opere di scarico, nei canali di restituzione, nelle traverse, nelle opere di presa oltre che nella realizzazione delle dighe.


LA SOLUZIONE PER GLI INTERVENTI A PROTEZIONE DELLE COSTE

Identificata l’unità “fisiografica” e prevedendo l’evoluzione e l’entità dei fenomeni che possono interessare la costa in base alle condizioni locali, al trasporto solido litoraneo, al livello di antropizzazione dell’area, si possono realizzare a protezione del profilo costiero una serie di interventi tra i quali i più comuni sono quelli che prevedono:

  1. Opere distaccate parallele (barriere).
  2. Opere aderenti parallele (rivestimenti, muri, argini).
  3. Opere trasversali (pennelli).
  4. Opere di stabilizzazione delle spiagge.
  5. Opere di ricostituzione delle spiagge.

Le barriere allineate o sfalsate disposte parallelamente o con un certo angolo rispetto alla linea di costa costituiscono una delle soluzioni più comuni per la protezione del litorale. Vengono realizzate anche per proteggere strade, ferrovie e abitazioni prossime al mare interessate sia da fenomeni di arretramento delle coste che da mareggiate. Per queste strutture, i blocchi in calcestruzzo di forme svariate (tetrapodi, cubo, cubo forato, accropodo) possono essere prodotti in un stabilimento prossimo al cantiere o con una centrale di betonaggio installata sul cantiere stesso. È inutile evidenziare come il conglomerato cementizio consenta rapidità di esecuzione, adattabilità alla forma (scelta per il blocco) più congeniale in relazione al moto ondoso. Nessun blocco in pietra naturale può soddisfare le diverse esigenze. Inoltre, il calcestruzzo consente, come è avvenuto
sul litorale marchigiano, di realizzare barriere di difesa costituite da blocchi con alveoli con finalità di protezione della fauna marina, in quanto le cavità costituiscono un rifugio sia per i pesci che per i molluschi.

In alternativa, le barriere possono essere realizzate con pali prefabbricati in calcestruzzo armato (Barriere Ferran) infissi sul fondo marino, oppure con pali disposti a quinconce conficcati sul fondale sabbioso che consentono un maggiore scambio di acqua tra la zona protetta e l’area antistante (barriere semi-permeabili). Le barriere possono essere anche del tipo sommerse, che emergono soltanto durante le fasi di bassa marea, realizzate con moduli prismatici in calcestruzzo provvisti generalmente di fessure orizzontali per smorzare il moto ondoso – che possono anche essere fibrorinforzati per migliorare la resistenza del materiale nei confronti delle sollecitazioni dinamiche prodotte dal moto ondoso. Un’ulteriore soluzione è rappresentata dall’utilizzo di piastre cave in calcestruzzo armato poggiate su una base in pietra (moduli aqua blocks). Possibilità ulteriore è rappresentata da moduli prefabbricati in calcestruzzo armato ondulati per aumentare il potere dissipativo e con setti forati per favorire il contenimento dei sedimenti. Frequente è anche il ricorso a cassoni in calcestruzzo armato trasportati in galleggiamento e affondati per creare barriere sommerse. Questo tipo di scogliere sommerse, inoltre, può essere realizzato con blocchi di calcestruzzo di dimensioni e forme diverse con funzione di protezione del litorale e allo stesso tempo capaci di favorire lo sviluppo di un habitat ideale per la vita di organismi marini grazie alla presenza di cavità. Moduli a forma di “domo”, blocchi tronco-piramidali o a forma di igloo testimoniamo la grande versatilità di questo materiale la cui unicità è testimoniata dal fatto che qualsiasi intervento di protezione mediante barriere di parallele non possa fare a meno del suo utilizzo.

Lo sviluppo e la ricerca nel settore della tecnologia del calcestruzzo, inoltre, consente di produrre blocchi durevoli in contatto con acqua di mare, grazie all’impiego di cementi resistenti sia all’azione del cloruro che del solfato presenti nell’ambiente marino, che – unitamente alla scelta di un rapporto acqua/cemento non maggiore di 0.50 –consente di ottenere una matrice impervia di bassa porosità e per questo motivo con durabilità pari alla vita nominale dell’opera e comunque mai inferiore a 50 anni. In definitiva un materiale, sicuro, affidabile, facilmente reperibile, durevole in acqua di mare versatile per poter realizzare qualsiasi tipologia di barriera parallela.

Le opere trasversali sono elementi disposti obliquamente rispetto alla linea di riva a intercettare le correnti in modo da contrastarne gli effetti erosivi. La difesa può essere affidata agli Headlands realizzati mediante elementi in calcestruzzo disposti in base alla direzione del fronte d’onda dominante.

Ampia diffusione del calcestruzzo anche nelle opere di difesa cosiddette aderenti come i rivestimenti, le scogliere radenti, i muri, le paratie e gli argini. Ad esempio, nella difesa di coste basse con moto ondoso limitato si ricorre a rivestimenti costituiti da piastre di calcestruzzo poggianti su un sottofondo drenante e protette a monte e a valle rispettivamente da muri paraonde e palancole in calcestruzzo armato. La protezione, laddove la costiera presenta profondità superiori a qualche metro, viene affidata a blocchi prefabbricati in calcestruzzo incastrati. Ulteriore possibilità per queste strutture di difesa delle scarpate a mare è rappresentata dall’impiego di massi in calcestruzzo o da blocchi prefabbricati in conglomerato cementizio poggianti su sottofondo filtrante e sono particolarmente indicate anche per far fronte a difficoltà di reperimento di materiali naturali di cava. L’impiego di blocchi prefabbricati di differente forma e dimensione consente un’ottima flessibilità e facilità di posa in opera e la possibilità di disporli su uno o più strati, a seconda delle necessità, permette ridurre il fenomeno della riflessione e, grazie alla possibilità di incastrarli tra loro, conferire all’opera di protezione un’eccellente stabilità. Il calcestruzzo, inoltre, viene utilizzato per il completamento dell’opera di difesa costituito da muri di coronamento che impediscono la risalita delle onde. Ulteriore possibilità è rappresentata dall’impiego di blocchetti forati e di forma tale da poter essere incastrati l’un l’altro e intasati mediante materiale lapideo granulare, poggianti su una membrana di geotessile.

I muri posti a difesa delle coste dal moto ondoso vengono realizzati per proteggere strade e abitazioni in prossimità delle spiagge. Sebbene la realizzazione possa avvenire ricorrendo ai muri in terra rinforzata o in gabbioni, la soluzione costituita dai muri in calcestruzzo presenta non pochi vantaggi dal punto di vista della celerità dell’esecuzione e della efficacia dell’intervento. Ad esempio, la versatilità di impiego del materiale permette di realizzare muri a parete curva o anche muri concavi capaci di attutire l’impatto e la risalita delle onde deviandole le onde verso il mare, evitando fenomeni di erosione a tergo del muro e l’ingresso delle acqua di mare sulle strade o contro edifici. Conformazioni di difficile (è un eufemismo) realizzazione con altri materiali. Anche quando si ricorre ai muri in terra armata, comunque è necessario proteggere il terreno con pannelli sottili in calcestruzzo risvoltati ad assumere forma concava sul coronamento per deviare l’onda verso il mare. Inoltre, il muro deve essere comunque appoggiato su una fondazione rigida che necessariamente deve far ricorso al calcestruzzo. Le strutture di sostegno e protezione possono essere costituite da paratie costituite da palancole in calcestruzzo infisse nel terreno. Anche quando si ricorre all’utilizzo di palancole di acciaio il calcestruzzo è indispensabile per la realizzazione dell’elemento di chiusura sulla sommità degli elementi metallici rappresentato da una trave-cordolo di collegamento in c.a. Le opere preposte al controllo delle maree, che nell’area del Mediterraneo provocano oscillazioni del livello del mare variabili tra 10 e 100 cm, sono costituite da argini a mare e da sistemi meccanici di paratoie mobili. Nel caso degli argini, sebbene si faccia ricorso nella loro realizzazione a terreni argillosi, al fine di consolidare la struttura e renderla più sicura si ricorre comunque all’utilizzo del calcestruzzo per la costruzione di un muro di “cut-off” che impedisce pericolosi fenomeni di sifonamento. Come detto più volte, un materiale versatile da utilizzare in combinazione con materiali naturali per conseguire gli obiettivi prefissati dall’intervento. Per quanto riguarda le paratoie mobili sicuramente quelle più famose sono quelle del MOSE che proprio negli scorsi mesi ha dimostrato la sua efficacia nel proteggere la laguna veneziana dal fenomeno dell’acqua alta e dove il calcestruzzo celebra le sue doti di versatilità, sicurezza strutturale e durabilità.

Da ultimo, ma non meno importante il conglomerato cementizio è indispensabile per la realizzazione di opere portuali, idoneo per la realizzazione dell’imbocco, dei canali di accesso, dell’avamporto, del porto interno vero e proprio dove le imbarcazioni vengono ormeggiate, oltre che dei cantieri navali e dei bacini di carenaggio destinati alla costruzione e alla manutenzione delle imbarcazioni.

Nello specifico per proteggere l’ingresso al porto o le aree di manovra delle navi dall’azione delle onde vengono realizzate dighe e moli (a scogliera o a parete verticale). Nel caso delle dighe a scogliera, sebbene la sottostruttura e il nucleo interno vengano realizzati con materiali di cava, lo strato più esterno lato mare (la mantellata) viene costruito facendo ricorso a blocchi di calcestruzzo che realizzino il massimo concatenamento con un’alta percentuale di vuoti. Inoltre, il coronamento e l’eventuale muro di protezione paraonde non possono che essere realizzati mediante getto in opera del conglomerato cementizio. Se queste opere fossero isolate in mare, i massi artificiali in calcestruzzo, incastrati a formare una struttura omogenea e permeabile al moto ondoso, offrono la possibilità di variare sia la forma che la dimensione degli elementi adattando opportunamente la capacità di resistenza al moto ondoso e adeguandosi alle diverse condizioni di esercizio come nessun materiale naturale di cava potrebbe fare.

Nella costruzione delle dighe a parete verticale, fatto salvo per l’imbasamento ove impieghiamo massi naturali, la struttura, la sovrastruttura con la piattaforma e il muro paraonde non possono che essere realizzati in calcestruzzo. Nessun altro materiale da costruzione si presenta adatto per questa tipologia di realizzazione.

Conclusioni

Esiste uno stringente bisogno di mettere in sicurezza il territorio italiano per prevenire i danni prodotti dai fenomeni idrogeologici, stimabili in 1 miliardo di euro circa all’anno. Risorse che potrebbero essere investite nella prevenzione, piuttosto che nella ricostruzione, che permetterebbe di risparmiare, secondo anche quando indicato dalla Commissione Europea, 4 euro per le spese legate all’emergenza per ogni euro speso in interventi di prevenzione.

Il tema della prevenzione/mitigazione del rischio idrogeologico e di quello legato all’erosione delle coste dovrebbe essere al centro della stagione di rilancio del Paese. In questa nuova stagione il calcestruzzo si presenta come materiale versatile per qualsiasi intervento a salvaguardia del territorio, un unicum per prestazioni, sicurezza strutturale e durabilità che non ha eguali in nessun materiale da costruzione.

Una nuova stagione per il Paese, ma anche per questo materiale tecnologicamente avanzato, non più “solo acqua, cemento e pietre”, ma un materiale evoluto, che può far fronte alle esigenze più disparate dal punto di vista progettuale, adatto a qualsiasi condizione esistente in cantiere, specificatamente progettato per essere durevole in qualsiasi contesto ambientale, utilizzabile in qualsiasi condizioni climatica e facilmente reperibile su tutto il territorio nazionale anche in luoghi remoti.

Proprietà queste che permettono di realizzare i lavori in tempi rapidi consoni all’urgenza del Paese di mettere in sicurezza il territorio per salvaguardare la popolazione, i centri abitati, le linee di comunicazione, le infrastrutture strategiche, il tessuto economico e produttivo oltre che il suo inestimabile patrimonio architettonico e culturale, senza pari al mondo.

Luigi Coppola
Ingegnere civile, è docente dei corsi di “Materiali per l’edilizia” e “Materiali per il restauro delle strutture” presso l’Università degli Studi di Bergamo. È autore di oltre 300 articoli e 20 libri su additivi e aggiunte minerali, leganti alternativi al cemento Portland, cementi solfoalluminosi, materiali ad attivazione alcalina e geopolimeri, waste management, durabilità e restauro delle strutture in calcestruzzo, mix design, degrado e restauro degli edifici storici, corrosione e protezione delle armature nelle strutture in c.a. e c.a.p. Attualmente è Presidente dell’American Concrete Institute Italy Chapter ed Editor di numerose riviste nazionali e internazionali. Nel 2000 è stato insignito dall’American Concrete Institute (ACI) e dal Canadian Institute of Materials, Energy and Transportation (CANMET), le massime istituzioni mondiali nel settore dei materiali cementizi, di un award per il “rilevante contributo della durabilità del calcestruzzo", più giovane ricercatore a livello mondiale, e primo italiano a ricevere il prestigioso riconoscimento.

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