C’è una sfida enorme che riguarda il settore delle costruzioni ed è quella delle zero emissioni di CO2 da qui al 2050. Un obiettivo concreto seppur di non facile realizzazione e che diventa ancora più arduo da raggiungere se lo si somma alla previsione della crescita mondiale della popolazione che, a quella stessa data, sarà passata a dieci miliardi di persone. Persone che dovranno avere una casa in cui vivere, strade su cui camminare, ponti su cui passare per raggiungere altri luoghi. Infrastrutture che dovranno essere costruite, dunque. Ma come? La sfida, appunto, è quella di ridurre l’impatto ambientale e puntare a realizzare case, strade, ponti, dighe e canali con materiale sostenibile. Oggi sappiamo che una parte non trascurabile di tutto il materiale estratto dalle cave viene consumato per la produzione di cemento e calcestruzzo e che l’industria del cemento impatta per il 7 per cento a livello globale sulla produzione di CO2. È chiaro quindi che il mondo dell’edilizia si trova davanti due strade: da una parte quella che impone un uso di materiali sostenibili, dall’altra quella che punta a ridurre le emissioni di CO2.
Il cemento e il calcestruzzo possono dare un contributo fondamentale in tal senso. Per esempio, per produrre calcestruzzi sempre più sostenibili possono essere utilizzati la cenere volante, lo scarto da produzione della ghisa e il fumo di silice, che è ciò che resta della produzione del silicio, un materiale molto pregiato. Il prodotto risultante dall’impiego di questi materiali sarà altrettanto buono e, nel caso della cenere volante e delle scorie d’altoforno, persino più resistente all’azione dell’acqua di mare o al cloruro derivante dai sali disgelanti, usati soprattutto nel periodo invernale per sciogliere la neve sulle strade.
Una possibilità, invece, per realizzare l’obiettivo zero emissioni CO2 entro il 2050 è catturare l’anidride carbonica emessa durante la cottura di calcari e argille, anziché farla andare in atmosfera. La sfida è di bloccarla con soluzioni di ammoniaca o di ammine per poi riutilizzarla al fine di produrre degli aggregati calcarei molto simili a quelli delle montagne o del letto dei fiumi.
Sin dalla fine degli Anni Cinquanta l’Italia ha iniziato a interessarsi alla produzione di cementi più sostenibili e sempre maggiore sensibilità al tema della riduzione dell’inquinamento è stata posta negli ultimi anni. Non è un caso che proprio il nostro Paese sia stato uno tra i primi a produrre i cementi solfo alluminosi che vengono cotti a una temperatura più bassa: una tecnica che richiede, dunque, minor energia considerato che si macinano anche più facilmente. Queste tipologie di cemento sono caratterizzate da un rapido indurimento che consente loro di sviluppare una resistenza maggiore e per questo possono essere impiegate per sostituire il cemento classico in alcune costruzioni molto particolari. Un’altra innovazione sono i leganti ad attivazione alcalina, tra cui ricadono anche un gruppo di leganti molto interessanti per il loro modesto impatto ambientale. Si tratta dei “geopolimeri” che permettono di ridurre del 70 per cento in media sia le emissioni di CO2 che il consumo energetico.
Parlando invece di calcestruzzo, ne esistono diverse varietà di innovativi. Ad esempio, quello trasparente, di cui un esempio è il padiglione italiano all’Expo di Shangai nel 2010. Sembra quasi un vetro attraverso cui è possibile guardare, grazie alle fibre ottiche fini come capelli inserite nella matrice. L’obiettivo è ridurre il consumo di energia per illuminare gli edifici, che incide per il 40 per cento del consumo totale di energia a livello europeo. Edifici costruiti con questo materiale sono piuttosto indicati per i paesi del nord dove la luce solare dura poche ore al giorno.
Sempre in tema di illuminazione ci sono i calcestruzzi fotoluminescenti usati per illuminare parchi, piste ciclabili o parcheggi scarsamente illuminati. Due esempi sono la pista ciclo pedonale di Caravate, in provincia di Varese, e la pista ciclabile di Peccioli, nel pisano. In Europa è stato usato nella città natale di Van Gogh. Questo calcestruzzo è capace di assorbire energia solare e riemetterla come fonte luminosa di notte da un minimo di sei ore a un massimo di 12. La fotoluminescenza è una fonte di energia pulita, rinnovabile e sicura per gli esseri umani e per l’ambiente, per questa ragione il calcestruzzo fotoluminescente è ideale per la mobilità lenta.
Anche il calcestruzzo drenante rientra nella categoria delle innovazioni sebbene venga impiegato già da molto tempo. Per esempio, di recente è stato utilizzato a Milano per la realizzazione di un’area del Parco Biblioteca degli Alberi: il colore chiaro del calcestruzzo, oltre che alla sua capacità di mantenere il naturale flusso dell’acqua nel terreno, contribuisce a ridurre l’effetto “isola di calore” mantenendo a un massimo di 35 gradi la temperatura del terreno anche in estate (quando invece può arrivare anche a 60 gradi). Ma la principale caratteristica del calcestruzzo drenante è di replicare le modalità con le quali l’acqua filtra naturalmente nel suolo così da consentire il naturale flusso delle acque, riducendo il rischio di impermeabilizzazione dei terreni. E assicurare una maggiore resilienza in caso di inondazioni o altri eventi metereologici.
Sempre a Milano, in via Ampère, per realizzare un nuovo complesso residenziale è stato usato un altro tipo di calcestruzzo innovativo: quello che a volte dai giornali viene chiamato “mangiasmog”, ovvero quello fotocatalico, che si caratterizza per la capacità di accelerare i processi di ossidazione già esistenti in natura, favorendo una più rapida decomposizione degli inquinanti. In sostanza, può contribuire a migliorare la qualità dell’aria e a mantenere pulite le superfici degli edifici. Certo è – e questo va ammesso – che serve a poco un edificio fatto con il calcestruzzo fotocatalitico se è inserito in un contesto in cui è l’unico.
C’è poi il calcestruzzo autoriparante molto usato per la realizzazione di strutture idrauliche: il materiale consente di “cicatrizzare” la fessura nel momento in cui si presenta, riducendo anche la manutenzione che solitamente impatta molto a livello economico.
Per le strade, invece, c’è la possibilità di realizzare la pavimentazione in calcestruzzo, cosicché siano più sicure e più sostenibili. Una tecnica particolarmente adatta alle gallerie, come quelle realizzate tra l’Umbria e le Marche: 13 viadotti e 13 gallerie che collegano Foligno con Civitanova Marche (Marche). In tutte le gallerie che superano il chilometro è stata fatta una pavimentazione in calcestruzzo per un totale di 40 km e 300 mila metri quadrati. Da uno studio del Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale della Sapienza Università di Roma emerge che se si utilizzasse il calcestruzzo per pavimentare 2 mila gallerie italiane si eviterebbe l’emissione in atmosfera di 3,5 milioni di tonnellate di CO2, nel corso della vita utile dell’infrastruttura (20 anni).
Infine, per i grattacieli c’è il calcestruzzo a basso calore di idratazione. L’esempio più eclatante è quello dello skyline di Milano. Una volta gettato, il calcestruzzo indurisce grazie alla reazione di idratazione del cemento, un processo che produce del calore. E quando si devono realizzare le fondamenta di un grande edificio, molto alto, come può essere appunto un grattacielo, il calore prodotto è tanto e fa aumentare il rischio di fessurazione del calcestruzzo, con conseguenze negative sulla struttura stessa. Per questo, è più indicato usare un calcestruzzo che generi poco calore così da preservare la struttura. È lo stesso materiale usato anche per realizzare il nuovo ponte di Genova.