FormazioneInnovazioneSostenibilità

La millenaria storia del cemento

Quando si parla di cemento, una delle prime immagini che a molte persone viene alla mente è quella dei tanti palazzi nati nel corso del boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Ma si tratta in realtà di un equivoco: se effettivamente in quegli anni la cementificazione ha avuto la sua massima intensità, a tratti persino eccessiva, non ha senso associare un materiale – il cemento – a un comportamento – la cementificazione. Un conto infatti è parlare di cementificazione, che si riferisce all’uso indiscriminato del cemento, e altra cosa è il cemento, un materiale con una storia vecchia non solo di secoli, ma di millenni.

Nell’antichità, al tempo degli Egizi e dei Romani, si cercava un materiale capace di rendere le costruzioni più robuste, e di un legante che garantisse solidità e durasse a lungo. Già allora si era capito che il segreto stava nell’impastare materiali diversi. I Romani, per esempio, creavano impasti composti di fango e roccia vulcanica di Pozzuoli, che prese poi il nome di “pozzolana”.

Fango e pozzolana: questa rimase per tantissimo tempo la ricetta del cemento. Bisogna attendere il millesettecento, quando all’impasto si iniziano ad aggiungere altri materiali, come la polvere di argilla e materiale calcareo frantumato. Tante sono le persone che hanno dato un contributo importante all’innovazione del cemento, ma il primo a entrare nei libri di storia è stato un muratore di York, in Inghilterra: Joseph Aspdin, che nel 1824 perfeziono l’impasto di calcare e argilla, cuocendolo in forno, fino a ottenere un legante migliore di tutti quelli realizzati fino a quel momento. Nasceva così il Cemento Portland, chiamato in questo modo per la somiglianza con i colori delle rocce dell’isola di Portland. Ebbene, il cemento che costituisce gli edifici che ancora oggi ci circondano è fatto ancora con la ricetta di Aspdin.

Certo, tanti sono stati i perfezionamenti, dalla messa a punto di un processo di produzione industrializzata sempre più efficiente all’ideazione del cemento armato, ma per il resto quella miscela ideale, flessibile e dalle ottime proprietà meccaniche, trovata da Joseph Aspdin non è mai stata sostituita. Anche in Italia la si usa, a partire da quando, nel 1856, iniziò la produzione su larga scala di cemento a Palazzolo sull’Oglio, provincia di Brescia.

Se oltre al cemento e all’acqua aggiungiamo all’impasto anche sabbia o ghiaia otteniamo un conglomerato che prende il nome di “calcestruzzo”, il materiale da costruzione più usato al mondo. Ha l’aspetto di una pietra fusa, può prendere forme molto diverse e, di conseguenza, si adatta alle necessità di progettisti, architetti e ingegneri e lo si usa per realizzare case, infrastrutture e opere progettate per durare nel tempo e resistere alle avversità naturali.

A questo punto non dovrebbe sorprenderci scoprire che anche il calcestruzzo è un materiale conosciuto da millenni: furono proprio i Romani a chiamarlo: Calcis structio, e consisteva a quel tempo di un composto che, oltre all’acqua, comprendeva calce, sabbie pozzolaniche, mattoni e pietre macinati. A riprova della straordinaria resistenza del Calcis structio, possiamo ancora oggi ammirare strutture che ci hanno raggiunto intatte dopo duemila anni. Un esempio? L’imponente cupola del Pantheon, a Roma.

Nel Novecento la versione migliorata del calcestruzzo diventa emblema del bello, della versatilità e della funzionalità, ed è ritenuto un materiale perfetto per solidità, sicurezza e durabilità. E anche oggi è un materiale che resta fondamentale per le costruzioni e soprattutto per le infrastrutture, necessario anche quando si costruisce in altri materiali, e lo si impiega per le fondazioni. Un esempio recente? Il nuovo ponte di Genova, che inizialmente era stato immaginato d’acciaio, ma poi è stato realizzato in gran parte in calcestruzzo.

Tuttavia, proprio il suo grande successo ha finito per incoraggiare un utilizzo acritico, in cui non si presta attenzione alla sostenibilità del suo impiego. Un uso tanto esteso del cemento, infatti, negli ultimi decenni ha aperto discussioni legate all’impatto ambientale di questo materiale, dal consumo di suolo fino all’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali necessarie a produrre cemento e impiegate per realizzare il calcestruzzo.

Per rispondere all’esigenza di una maggiore sostenibilità, il settore del cemento ha definito una vera e propria strategia per decarbonizzarsi, con l’obiettivo di ridurre entro il 2030 le emissioni di CO2 del 55% rispetto al 1990, e di raggiungere la neutralità carbonica nel 2050. Un percorso che ovviamente passa attraverso l’impiego di fonti energetiche alternative rispetto ai combustibili fossili, ma anche attraverso il miglioramento dell’efficienza energetica e l’utilizzo di tecnologie capaci di catturare la CO2 presente nell’aria, oltre che l’impiego di materiali a ridotto contenuto di carbonio da utilizzare per la produzione del cemento.

Un altro modo per ridurre l’impatto è ottimizzare la quantità di calcestruzzo impiegata nelle costruzioni. E in parallelo si sta lavorando per una pianificazione intelligente delle infrastrutture e degli edifici, con l’obiettivo di passare da un modello di economia lineare a uno circolare. Vale a dire, che si punta a ridurre l’utilizzo delle materie prime e ad allungare la vita media delle strutture, ma soprattutto si mira a rigenerare le materie prime, a riutilizzare le risorse da costruzione e demolizione e a impiegare materiali sostitutivi e innovativi per produrre il cemento e il calcestruzzo. L’obiettivo, insomma, è quello di restituire una nuova giovinezza ai materiali da costruzione giunti a fine vita.

È una sfida che bisognerà affrontare e vincere affinché cemento e natura, strettamente connessi da millenni di storia umana, possano ancora convivere in modo virtuoso.

Federbeton lancia la serie dedicata al cemento con il divulgatore scientifico Massimo Polidoro: quattro video che raccontano la storia, l’evoluzione tecnologica e sostenibile, le sfide future del materiale alla base del costruire. 
Guarda i video.

Massimo Polidoro e Gianluca Dotti
Massimo Polidoro: giornalista, divulgatore, scrittore e coinvolgente storyteller. Ha contribuito a fondare insieme a Piero Angela, Margherita Hack e Umberto Eco il CICAP (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze), di cui è Segretario e per cui ha ideato e dirige il CICAP Fest, Festival della scienza della curiosità, che ogni anno raduna a Padova i nomi più rappresentativi della scienza e della cultura. Conduce il podcast "Questa è scienza!" per Audible. Collabora con Focus e cura una rubrica fissa sulla rivista americana The Skeptical Inquirer. Ha scritto più di cinquanta bestseller, tra cui "Il mondo sottosopra" (Piemme), "Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle" (Piemme), "Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia" (Giunti) e i romanzi per ragazzi "Il tesoro di Leonardo" e "Il segreto di Colombo" (entrambi per Il Battello a Vapore). Presenta coinvolgenti conferenze divulgative, sia in italiano che in inglese, che spaziano dal piacere della curiosità all’indagine dei misteri, dalla psicologia dell’insolito al racconto di personalità e vicende storiche, scientifiche ed artistiche. Conduce inoltre corsi ed eventi legati alla scienza, all’informazione e alla scrittura, seminari, workshop e convention. Gianluca Dotti: giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute, tecnologia e business. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Ha tra le collaborazioni Wired Italia, Mediaset, Il Sole 24 Ore, StartupItalia, Forbes Italia, Radio 24, OggiScienza, Linc e Youris. Per Salani ha scritto I mega eroi della scienza (2019) della collana "Wired XS", lavora con case editrici scolastiche e si occupa di cyberbullismo adolescenziale.

You may also like

Comments are closed.