Federico Viganò1, Antonio Conversano1, Daniele Di Bona2, Davide Sogni2, Giorgia Lombardell2, Stefano Consonni1, 2
1 Dipartimento di Energia, Politecnico di Milano – Via Lambruschini 4/A, Milan, 20156, Italia
2 LEAP s.c.a r.l. – Laboratorio Energia e Ambiente Piacenza – Via Nino Bixio 27/C, Piacenza, 29121, Italia
Rifiuti plastici: riciclo chimico o co-combustione?
Per contrastare il cambiamento climatico sarà necessario considerare e sviluppare diverse alternative praticabili. Tra le opzioni disponibili, quella dei rifiuti rappresenta senz’altro un importante contributo, in un contesto nel quale la transizione verso modelli circolari ed efficienti di funzionamento dell’economia richiede un profondo ripensamento della gestione degli scarti di produzione e del consumo.
Il progresso tecnologico può senz’altro fornire un contributo importante alla valorizzazione dei rifiuti e, come tale, l’approccio deve essere improntato alla neutralità tecnologica, lasciando che le scelte degli amministratori siano commisurate nel tempo alle conoscenze e alle evidenze scientifiche che via via si rendono disponibili. Nella pianificazione impiantistica sul territorio, è fondamentale che le amministrazioni utilizzino metodiche LCA (Life Cycle Assessment) e LCCA (Life Cycle Cost Analysis), calate nella specifica realtà territoriale, prendendo in considerazione anche gli impianti esistenti e considerando il grado di maturità delle varie soluzioni tecnologiche già disponibili e di quelle in fase di sviluppo. Solo così potrà esserci garanzia di effettuare scelte realmente efficaci dal punto di vista della sostenibilità.
Laddove autorizzati al loro impiego, i combustibili di recupero, come il Combustibile Solido Secondario (CSS), vengono impiegati da anni nell’industria del cemento in sostituzione dei combustibili fossili, per fornire l’energia termica necessaria alla produzione del clinker – il semilavorato componente prevalente del cemento. La co-combustione dei combustibili alternativi come il CSS rappresenta un efficace strumento di decarbonizzazione dell’industria del cemento, nonché una pratica consolidata, che consente un risparmio di combustibile convenzionale, favorendo l’impiego di rifiuti altrimenti non recuperabili e inviati a incenerimento, a discarica o all’export. I combustibili alternativi permettono di ridurre le emissioni climalteranti di CO₂ d’origine fossile, in ragione del carbonio biogenico in essi contenuto e come tale neutrale dal punto di vista climatico.
Un ulteriore potenziale impiego di alcuni CSS, ovvero i rifiuti plastici non riciclabili meccanicamente, risiede nel riciclo chimico, anche detto Waste-to-Chemicals (WtC), al fine di ottenere oli e gas di sintesi utilizzabili nell’ambito dei processi produttivi di un’ampia gamma di sostanze chimiche e combustibili alternativi.
L’utilizzo del CSS in co-combustione in cementeria e il riciclo chimico sono entrambe tecnologie di gestione dei rifiuti plastici, pur trovandosi in uno stadio di maturazione tecnologica significativamente differente. Ma qual è il rispettivo impatto ambientale? È possibile stabilire qual è la tecnologia in grado di estrarre dai rifiuti plastici “il massimo” in termini di utilizzo circolare delle risorse con “il minimo” impatto ambientale? Alla domanda ha cercato di dare una risposta lo studio Riciclo chimico dei rifiuti e l’industria del cemento, realizzato dal Laboratorio Energia e Ambiente Piacenza (LEAP), società consortile fondata e tuttora partecipata dal Politecnico di Milano, per conto di AITEC – Associazione Italiana Tecnico Economica del Cemento.
Nello studio, infatti, è stata condotta una verifica confrontando i potenziali benefici derivanti dall’applicazione delle tecnologie di riciclo chimico con i benefici già attualmente generati dall’impiego degli stessi rifiuti plastici nella produzione di CSS, e utilizzati in co-combustione nelle cementerie. Dal confronto tra le due tecnologie, è emerso che la scelta tra l’una o l’altra soluzione non può prescindere da un’indagine di tipo Life Cycle. Il confronto, a parità di effetti utili prodotti, ha preso in considerazione la praticabilità industriale delle tecnologie di riciclo chimico dei rifiuti plastici, valutando la validità energetica e la sostenibilità ambientale delle due opzioni di gestione dei rifiuti plastici non riciclabili, il cosiddetto Plasmix. Nello specifico, gli esiti dello studio fotografano un contesto di mercato e tecnologico nel quale l’utilizzo del CSS nell’impianto di produzione di cemento comporterebbe minori emissioni di CO₂ e un minor consumo energetico rispetto all’utilizzo dello stesso nei processi Waste-to-Chemicals, con particolare riferimento a quelli di gassificazione considerati.
Il riciclo chimico: che cos’è?
Nel caso dei rifiuti plastici, il “riciclo chimico” è una tecnologia che agirebbe in maniera complementare al riciclo meccanico. Il riciclo meccanico causa la degradazione del polimero, limitando il numero di volte in cui lo stesso può essere efficacemente riciclato, e non è in grado di separare gli additivi e le sostanze presenti nei rifiuti di plastica, motivo per il quale la plastica contaminata non può essere trasformata in plastica di alta qualità. Il riciclo chimico invece rompe le molecole della plastica riportandole ai “mattoncini” di base della chimica (monomeri) oppure le converte per un’altra applicazione. Il “riciclo chimico” dei rifiuti in plastica è stato infatti recentemente definito dal JRC (Joint Research Centre) della Commissione Europea (CE) come l’insieme delle “tecniche termiche e/o chimiche che scompongono la materia prima polimerica nelle sue parti costitutive, ovvero monomeri, oligomeri o miscele eterogenee di idrocarburi per diverse applicazioni (es. produzione di polimeri vergini, prodotti chimici o combustibili)”.
Con “riciclo chimico” dei rifiuti plastici ci si riferisce in realtà ad una pluralità di tecnologie che, fondamentalmente, possono essere suddivise in tre macrocategorie: depolimerizzazione chimica, depolimerizzazione termica e cracking.
Limitando le considerazioni alle prime due, per depolimerizzazione chimica si intende il processo inverso della polimerizzazione, consistente nella trasformazione della plastica nei suoi monomeri costitutivi tramite uso di solventi; la depolimerizzazione termica consiste invece nel riscaldamento del polimero in presenza di alcune condizioni specifiche. Dalla pirolisi – una delle tecnologie di depolimerizzazione termica – riscaldando il polimero a una temperatura tra i 400-600°C, in assenza di ossigeno, si ottiene una miscela di piro-olio, il prodotto principale con caratteristiche molto simili a quelle della virgin nafta (circa 80% di resa in massa), syngas (circa 10% di resa in massa) e char (circa 10% di resa in massa), un prodotto secondario, residuo solido del processo. Anche i processi di gassificazione – altra tecnologia di depolimerizzazione termica – prevedono il riscaldamento del polimero, ma a temperature più elevate (700-1500°C). Il principale prodotto della gassificazione è il syngas (H2 + CO), più piccole quantità di altri gas come metano e anidride carbonica.
PLASMIX: COS’È?
Il PLASMIX è la quota di imballaggi in plastica presente nella raccolta differenziata urbana, ottenuta a valle del processo di selezione, ma non ancora valorizzabile con il riciclo meccanico. Si tratta di scarti del processo di selezione, composti prevalentemente da imballaggi non riciclabili e da frazioni estranee (tutto ciò che ricade nell’errore di conferimento del cittadino ovvero i non imballaggi e altri materiali). In Italia nel 2021, l’86% delle plastiche miste sono state utilizzate per la produzione di combustibili alternativi per i cementifici e per il resto sono state inviate a termovalorizzazione (dati Corepla – Consorzio del sistema Conai per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica).
L’articolazione dello studio di confronto tra le due tecnologie
Lo studio realizzato da LEAP persegue i seguenti obiettivi:
A. Effettuare una rassegna e una valutazione comparativa di carattere qualitativo dei processi e delle tecnologie WtC (Waste-to-Chemicals) sinora proposti in letteratura e/o oggetto di realizzazioni pilota, dimostrative o a scala commerciale (Fase A).
B. Valutare quantitativamente l’alternativo utilizzo di rifiuti di recupero per la produzione di composti chimici, rispetto alla produzione e all’impiego di Combustibili Solidi Secondari (CSS) nell’industria del cemento (Fase B).
C. Identificare eventuali sinergie tra diverse forme di riciclo chimico e l’industria del cemento (Fase C).
Fase A – Stato dell’arte delle tecnologie Waste to Chemicals
Nello studio sono state considerate due tecnologie di riciclo chimico, ovvero quelle basate sulla gassificazione e sulla pirolisi, valutandone i principali aspetti di forza e di debolezza. Attualmente, solo le tecnologie basate su processi di gassificazione sono disponibili allo stato commerciale. Si tratta comunque di tecnologie poco diffuse e per le quali solo in alcuni casi è stata dimostrata l’effettiva funzionalità su scala industriale. Per questo le informazioni disponibili sono spesso incomplete e di difficile reperimento. Le tecnologie di riciclo chimico basate su pirolisi, invece, sono ancora in fase di sviluppo. Sono stati realizzati alcuni impianti pilota o dimostratori con capacità di trattamento teorica di alcune migliaia di tonnellate di rifiuti all’anno.
A causa della scarsa disponibilità di affidabili dati quantitativi, l’analisi comparativa è stata condotta definendo diversi parametri qualitativi. Sono stati presi in considerazione parametri che fossero rappresentativi delle caratteristiche di ciascuna tecnologia ed è stato assegnato a ognuno un peso sulla base della rilevanza del parametro nell’ottica di una realizzazione industriale. In questo modo, è stato possibile definire, per ogni tecnologia, un punteggio sulla base del quale stilare una graduatoria.
In base alla graduatoria ottenuta, le due tecnologie Waste-to-Chemicals più promettenti, e per le quali è stata dimostrata l’effettiva funzionalità su scala industriale, sono basate su processo di gassificazione:
- Processo Ebara-Ube
- Processo Enerkem
Queste due tecnologie sono state esaminate nella valutazione quantitativa di tipo comparativo (Fase B dello studio). Sono stati messi a confronto la valorizzazione energetica del CSS mediante co-combustione in cementeria e l’impiego del medesimo CSS nei processi di riciclo chimico. Il tutto con il fine di poter giudicare quale dei due approcci alla gestione dei rifiuti sia più sostenibile, in un’ottica ispirata alla metodologia LCA, considerando non solo le conseguenze dirette delle scelte fatte, ma anche quelle indirette ed evitate, per ottenere parità di effetti utili tra gli scenari confrontati.
Per le altre tecnologie di riciclo chimico, in particolare basate su pirolisi, lo studio ha esplorato le eventuali sinergie con altri processi industriali. Il processo di pirolisi, infatti, è sempre caratterizzato da co-produzione di residui solidi (char) eventualmente impiegabili per fornire apporto energetico in altri processi industriali, come illustrato nel paragrafo dedicato alla Fase C dello studio.
Fase B – Confronto quantitativo riciclo chimico vs produzione CSS + co-combustione
PRODUZIONE DI CEMENTO E WTC-GASSIFICAZIONE
Per garantire coerenza di analisi, è stato utilizzato, alternativamente come combustibile per i cementifici o come materia prima per i processi WtC, lo stesso materiale, un Combustibile Solido Secondario di caratteristiche medie. Sono stati inoltre considerati diversi tassi di sostituzione calorica (25, 50 e 75%), definiti come la quota del fabbisogno energetico della cementeria tramite combustibile alternativo (CSS) rispetto al totale.
La prima opzione, identificata nello studio come “Caso A”, è rappresentativa dello scenario “as is”, nel quale si prevede l’utilizzo di CSS in co-combustione in cementeria e parallelamente la produzione di due chemicals: idrogeno, associato alla prima delle due tecnologie considerate (processo Ebara-Ube) e metanolo, associato alla seconda (processo Enerkem) a partire dal gas naturale. I bilanci di massa e di energia, così come la valutazione delle emissioni di CO₂ fossile in atmosfera, sono ricavati considerando una cementeria alimentata con una miscela combustibile di petcoke e CSS, mentre il prodotto chimico è stato considerato generato con un processo convenzionale, a partire da risorsa fossile.
La seconda opzione, “Caso B”, rappresenta l’alternativa, oggi ancora poco sviluppata, di utilizzo del CSS nei processi di riciclo chimico, sottraendolo all’impiego in cementeria, per ottenere il prodotto considerato. In questo scenario, per il proprio fabbisogno energetico, la cementeria fa uso del solo petcoke.
Sono stati formulati, quindi, diversi scenari, in funzione dei prodotti chimici considerati (idrogeno o metanolo) e dei tassi di sostituzione calorica applicati alla cementeria di riferimento. L’analisi dei vari scenari considerati dimostra che, nel caso di produzione di cemento e idrogeno, la spesa energetica totale dei Casi B è sempre superiore alla spesa energetica dei rispettivi Casi A per via dell’inferiore efficienza energetica della tecnologia WtC considerata rispetto alla tecnologia convenzionale (steam reforming del gas naturale) di produzione dell’idrogeno. Analogamente, le emissioni totali fossili di CO₂ dei Casi B sono sempre maggiori delle corrispondenti emissioni fossili dei Casi A.
Similmente al caso precedente, nel caso di produzione di cemento e metanolo, in tutti gli scenari analizzati, il consumo energetico complessivo del Caso B è sempre superiore al consumo energetico nel Caso A, principalmente a causa della bassa efficienza energetica della tecnologia WtC rispetto alla tecnologia convenzionale di produzione del metanolo. Le emissioni totali fossili di CO₂ dei Casi B sono sempre maggiori delle corrispondenti emissioni fossili dei Casi A.
In conclusione, dallo studio è emerso che utilizzando un CSS idoneo alla co-combustione in cementeria nell’ambito dei processi WtC per la produzione di idrogeno o metanolo (Caso B), si otterrebbe un consumo energetico complessivo sempre superiore rispetto al Caso A, caso nel quale il CSS è utilizzato per produrre cemento, mentre l’idrogeno o il metanolo sono prodotti da fonte fossile mediante una tecnologia convenzionale. Nei riguardi delle emissioni di CO₂ climalteranti, è dunque più efficace utilizzare CSS in cementeria (Caso A) piuttosto che in processi WtC (Caso B).
Ciò significa che, per le due tecnologie commerciali di riciclo mediante processo di gassificazione analizzate nello studio attraverso una valutazione di sostenibilità ispirata ai principi LCA, è più sostenibile utilizzare i rifiuti plastici – attraverso la produzione di CSS – in cementeria piuttosto che in tali processi di riciclo chimico. Lo studio ha anche evidenziato, per le due tecnologie di riciclo, un forte legame tra le prestazioni conseguibili e le caratteristiche del rifiuto trattato, in conseguenza delle quali è necessario per i processi WtC disporre di rifiuti “nobili” caratterizzati da elevato contenuto energetico, ben superiore a quanto mediamente riscontrato per il CSS utilizzato in cementeria.
PRODUZIONE DI CEMENTO E WTC-PIROLISI
Si è effettuata nello studio un’analoga analisi comparativa nel caso dei processi WtC di pirolisi. Dal confronto in termini energetici e di emissioni di CO₂ tra il “Caso A” – utilizzo del CSS in co-combustione in cementeria per la produzione di clinker e convenzionale produzione di virgin nafta da raffineria partendo da petrolio grezzo – e il “Caso B” – impiego del CSS in processi WtC basati su pirolisi per la produzione di virgin nafta e produzione del clinker in cementeria con forno alimentato primariamente a petcoke – è emersa una situazione di sostanziale parità tra i due. Quindi, il riciclo chimico basato su pirolisi, attualmente in fase di sviluppo, consegue livelli di sostenibilità quasi comparabili a quelli della produzione di CSS per co-combustione in cementeria.
Va comunque sottolineato che, mentre la co-combustione di CSS in cementeria è una pratica ormai consolidata in Europa e di dimostrata efficacia, caratterizzata da assenza di scarti e con ulteriori margini di espansione, non si può dire lo stesso, almeno per il momento, per le tecnologie di riciclo chimico in via di sviluppo come la pirolisi, la cui efficacia, non avendo raggiunto una sufficiente maturità tecnologica e dunque commerciale, non è ancora dimostrata a livello industriale.
Lo studio ha inoltre evidenziato che i processi WtC basati su pirolisi richiedono in alimentazione materiali con contenuto d’energia e di carbonio particolarmente elevati, nettamente superiori a quanto richiesto in termini di CSS per l’alimentazione dei forni delle cementerie. Tuttavia, tali materiali/rifiuti particolarmente “pregiati” possono essere cruciali – in quota minoritaria – per stabilizzare la qualità della produzione di CSS da destinare alle cementerie. In tal modo si garantiscono dunque anche le quantità di assorbimento del CSS in cementeria evitando, di conseguenza, il conferimento in discarica o la termovalorizzazione dei rifiuti meno pregiati, che non possono essere riciclati e/o sottoposti a recupero di materia in base alla gerarchia europea di gestione dei rifiuti.
Da ciò discende che l’applicabilità delle tecnologie di riciclo chimico è tendenzialmente limitata a rifiuti con un considerevole contenuto di plastica, decisamente superiore a quello che comunemente si riscontra nel Plasmix prodotto dalla selezione dei rifiuti plastici da raccolta differenziata e da cui le plastiche più pregiate sono normalmente già state avviate al recupero di materia.
Fase C- potenzialità del riciclo chimico e l’industria del cemento
In merito a una eventuale sinergia tra la filiera produttiva del riciclo chimico e quella del cemento, l’analisi effettuata nello studio ha, come già illustrato, messo in evidenza che le tecnologie WtC richiedono in alimentazione materiali/rifiuti con caratteristiche pari o superiori a quelle richieste per produrre il CSS alimentato ai cementifici (significativo contenuto di Plasmix e PCI > 25 MJ/kg); tali materiali sono tuttavia cruciali per la produzione di CSS idoneo all’utilizzo in cementeria. Pertanto, riciclo chimico e industria del cemento potrebbero, in prospettiva futura, entrare in competizione nell’approvvigionamento di questi materiali.
D’altro canto, il residuo solido carbonioso (char) co-prodotto nei processi WtC di pirolisi potrebbe potenzialmente divenire un combustibile alternativo per l’industria del cemento. Questa è l’unica potenziale sinergia individuata tra le tecnologie WtC e la produzione di cemento, relativamente all’approvvigionamento energetico.
Tuttavia, in uno scenario di diffuso ricorso a tali tecnologie WtC, tale da assorbire la totalità dei rifiuti plastici disponibili (secondo le stime di disponibilità di Corepla, 2020), la conseguente produzione di char potrebbe coprire non più del 2% dell’attuale fabbisogno energetico del settore del cemento, costituendo, quindi, un contributo scarsamente significativo per tale settore, nonché da verificare sul piano qualitativo.
Conclusioni
Dallo studio condotto da LEAP emergono due importanti considerazioni:
- per essere più sostenibile, il riciclo chimico dei rifiuti plastici dovrebbe essere associato a consumi di energia primaria ed emissioni climalteranti inferiori a quelle associate all’impiego dei medesimi rifiuti nella produzione di CSS per co-combustione in cementeria. Nei casi esaminati non è così;
- per fare delle scelte realmente efficaci dal punto di vista della sostenibilità, la valutazione deve basarsi sui principi di Life Cycle Assessment (LCA), considerando di ottenere sempre gli stessi prodotti e includendo nell’analisi non solo gli effetti diretti, ma anche quelli indiretti ed evitati.
Sulla base di questo approccio, dallo studio è inoltre emerso che:
a) nel caso delle tecnologie commercialmente disponibili, basate su gassificazione, è più sostenibile utilizzare CSS prodotto dai rifiuti plastici non riciclabili meccanicamente in cementeria piuttosto che in processi di riciclo chimico;
b) mentre nel caso delle tecnologie in via di sviluppo, basate esclusivamente su pirolisi, l’impiego del CSS prodotto dai rifiuti plastici non riciclabili meccanicamente in cementeria e in processi di riciclo chimico consegue livelli di sostenibilità sostanzialmente analoghi;
c) le tecnologie di riciclo chimico non sembrano essere idonee ad assorbire tutte le tipologie di rifiuti plastici che attualmente confluiscono nella produzione di CSS per cementeria, ma solo limitate frazioni con un notevole contenuto di plastica, tale da assicurare l’elevato contenuto energetico/di carbonio necessario.
Questo tipo di rifiuti plastici concorre alla produzione di CSS per la co-combustione in cementeria, essendo impiegato per stabilizzarne le caratteristiche, incrementando i livelli qualitativi dei rifiuti meno “pregiati”, cioè di minor potere calorifico, come il Rifiuto Solido Urbano (RSU) indifferenziato, ugualmente utilizzati nella produzione di CSS.
Quindi, sottraendo proprio le tipologie più “pregiate” di rifiuti alla produzione di CSS, il riciclo chimico potrebbe ridurre la possibilità d’impiego di tale combustibile nell’industria del cemento, limitando l’applicazione da parte del settore di questa leva di decarbonizzazione e compromettendo allo stesso tempo l’assorbimento delle frazioni di rifiuti meno pregiate, che attualmente trovano nella produzione di CSS per cementeria un’efficace e sostenibile modalità di gestione, in alternativa al conferimento in discarica, alla termovalorizzazione o all’export.
Fonti
Riciclo Chimico dei rifiuti e l’industria del cemento, LEAP – Laboratorio Energia e Ambiente Piacenza, 25 maggio 2022, Piacenza.
Riciclo chimico: stato dell’arte e prospettive, Position Paper Rifiuti n. 220 del Laboratorio SPL – Servizi Pubblici Locali, REF Ricerche srl, Milano (www.refricerche.it), settembre 2022.
Caro, D. et al., “Assessment of the definition of recycling”, Joint Research Centre science for policy report, 2022.