Architettura

Un libro che racconta la saga del calcestruzzo islandese

The Icelandic Concrete Saga: Architecture and Construction (1847–1958)
Sofia Nannini
JOVIS Publishers, 2024
ISBN 978-3-98612-027-6
https://jovis.de/en/book/9783986120276


«Molti considererebbero inabitabile un Paese privo di materiali da costruzione». Con queste parole, nel 1958 il Ministro dell’Industria Gylfi Þorsteinsson Gíslason inaugurò il primo e unico cementificio d’Islanda. Più di un secolo prima, il cemento Portland era stato usato per la prima volta come intonaco sulle pareti della cattedrale di Reykjavík. All’epoca, la maggior parte delle abitazioni, in città e in campagna, venivano costruite in torba o in costoso legno d’importazione. Solo pochi decenni dopo, architetti, ingegneri e muratori islandesi iniziarono a costruire sull’isola esclusivamente in calcestruzzo. Come mai questo materiale è diventato così popolare che i primi decenni del ventesimo secolo vengono definiti dalla storiografia islandese come “l’età del calcestruzzo”? The Icelandic Concrete Saga è un libro dedicato alla storia del calcestruzzo islandese, che si concentra su oltre cento anni di storia dell’architettura, della costruzione e della tecnologia. Il libro ripercorre la storia di un’architettura in costante lotta con la scarsità di materiali e gli elementi naturali, i cui esiti si intrecciano con la politica, la cultura e la società islandesi, in connessione con il resto dell’Europa.

Christiani & Nielsen, Ponte sul fiume Fnjóská, Skógar (1906–08). © Sofia Nannini

A partire da metà Ottocento, la società islandese ha vissuto una lenta e non violenta lotta politica per l’autonomia e l’indipendenza dal Regno di Danimarca, in parallelo a bruschi processi di urbanizzazione e di industrializzazione dell’industria della pesca. Nel Paese si aprì un dibattito fondamentale: come e cosa costruire per superare l’architettura tradizionale in torba, da molti considerata arretrata, e per creare un’architettura in grado di rappresentare l’Islanda come uno Stato politicamente autonomo. Le difficoltà nel reperire il legname, dovute alla generale mancanza di foreste, il rischio di incendi e la particolare durezza delle rocce locali – un ostacolo allo sviluppo delle tecniche di lavorazione della pietra – indicarono la necessità di utilizzare un nuovo materiale per le esigenze architettoniche dell’isola – e quel materiale, o processo costruttivo, era il calcestruzzo.

The Icelandic Concrete Saga si concentra su oltre un secolo di storia della costruzione, dell’architettura e della tecnologia in Islanda. Il libro tratta della ricezione e dello sviluppo del calcestruzzo come metodo di costruzione, nonché del suo ruolo nella trasformazione radicale dell’architettura sull’isola. Si tratta di una storia fatta di tanti, piccoli eventi; tuttavia, la diffusione delle tecnologie e il loro impatto sulla società e sulla cultura islandese possono essere percepiti e analizzati solo in un arco temporale di lungo periodo. Il libro mette inoltre in evidenza le relazioni economiche e commerciali che storicamente collegavano l’Islanda al resto d’Europa e perciò posiziona l’isola a più stretto contatto con il continente.

Guðjón Samúelsson, Chiesa di Landakot, Reykjavík (1925–29). © Sofia Nannini

The Icelandic Concrete Saga si interroga sul binomio tradizione/modernizzazione: il testo propone infatti l’idea che le costruzioni in calcestruzzo, spesso anonime e amatoriali, possano essere viste come una delle forze trainanti della trasformazione architettonica e sociale dell’isola. La storiografia islandese ha definito l’emergere del calcestruzzo nella storia del Paese come steinsteypuöldin – ovvero, “l’era del calcestruzzo”. Questo termine ha promosso un nuovo tipo di temporalità per la storia islandese, inestricabilmente legata alla presenza pervasiva di questa tecnica nell’ambiente costruito. Coniato per la prima volta nel 1911, steinsteypuöldin era un modo per etichettare la crescente popolarità del calcestruzzo nell’edilizia islandese, e allo stesso tempo era un augurio per le forme e la materialità del suo futuro.

Il libro esplora inoltre le relazioni tecnologiche e politiche tra Islanda e Danimarca nell’ambito delle costruzioni. Approfondisce il rapporto tra l’indipendenza politica dell’isola e la necessità di trasmettere l’identità culturale islandese attraverso gli edifici pubblici. Nel corso degli anni, l’edilizia è stata contemporaneamente uno strumento per affermare il potere politico e tecnologico del governo danese in Islanda, un campo di condivisione di competenze professionali e un ambito di autodeterminazione e costruzione della nazione da parte della società islandese. Non solo il cemento e il calcestruzzo sono stati attori chiave del cambiamento nella storia del Paese, ma essi sono diventati una metafora della lotta collettiva dell’Islanda contro gli elementi naturali e verso la costruzione di una nazione indipendente.

Guðjón Samúelsson, Teatro nazionale d’Islanda, Reykjavík (1925–50). © Sofia Nannini

Il libro è suddiviso in tre capitoli, ordinati in ordine cronologico dal 1847, anno in cui il cemento Portland fu utilizzato per la prima volta nel Paese, al 1958, anno in cui fu inaugurata la prima e unica fabbrica di cemento dell’isola. Il primo capitolo ripercorre gli iniziali sviluppi dell’architettura in pietra e calcestruzzo in Islanda nel corso del diciannovesimo secolo, gettando le basi per comprendere come e quando il cemento e il calcestruzzo sono diventati disponibili nel Paese. Il secondo capitolo si concentra sulla prima generazione di ingegneri civili e edili islandesi, attivi nei primi decenni del ventesimo secolo. Il capitolo analizza il loro lavoro pionieristico di ricerca, commercio e progettazione, che fu al centro di una nuova era nella storia della costruzione locale. In quegli anni, la torba come materiale da costruzione tradizionale venne rapidamente abbandonata, con cambiamenti radicali nella tradizione costruttiva dell’isola. Il terzo capitolo si concentra sull’architettura islandese dopo l’autonomia politica ottenuta dalla Danimarca nel 1918. Si concentra in particolare sulle realizzazioni architettoniche del primo architetto di Stato, Guðjón Samúelsson (1887–1950), e approfondisce il suo particolare approccio al calcestruzzo come mezzo tecnico per raggiungere risultati estetici e simbolici. Il libro si conclude con l’inaugurazione del primo e unico cementificio, costruito nella cittadina di Akranes nel 1958, elogiato come simbolo della piena indipendenza materiale del Paese.

Guðjón Samúelsson, Chiesa di Hallgrímur, Reykjavík (1937–86). © Sofia Nannini

The Icelandic Concrete Saga segue il processo di trasformazione che ha caratterizzato l’edilizia e l’architettura islandese e si concentra sull’intersezione tra lo sviluppo tecnologico del Paese e i suoi cambiamenti sociali e politici. Prendendo come punto di vista una tecnica edilizia sempre più diffusa, il libro esplora la battaglia dell’Islanda per il miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti, grazie al contributo di ingegneri, architetti, costruttori, e dell’intera società.

Sofia Nannini
Sofia Nannini è ricercatrice a tempo determinato (RTDA) in Storia dell'architettura presso il Politecnico di Torino dal 2023. Tra il 2021 e il 2023 è stata assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna e docente a contratto presso le università di Bologna, Firenze, Pavia e IAAD. È autrice di "Icelandic Farmhouses: Identity, landscape and construction (1790–1945)" (Firenze University Press, 2023).

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