Nei musei subacquei di Jason deCaires Taylor il cemento fornisce supporto al recupero dell’ecosistema marino.
Sono più di 1.100 le sculture disseminate dallo scultore inglese nei mari di tutto il mondo; in poco più di 14 anni l’artista ha progettato e creato dei musei sottomarini accessibili per lo più a tutti; la profondità a cui si trovano le sue statue infatti, permette in alcuni casi, di poterle ammirare anche nuotando in superficie muniti di maschera o semplicemente a bordo di barche dal fondo trasparente.
Si tratta di un progetto unico nel suo genere, non solo per la scelta dell’ambientazione ma soprattutto per il fine “scientifico” che lo distingue da altre sperimentazioni simili. Le opere di Taylor nascono con il fine di ricreare un nuovo habitat naturale in aree protette dalle correnti; per poter ottenere tale scopo l’artista utilizza una particolare miscela di calcestruzzo a ph neutro, ottenuto mescolando il cemento di tipo marino, appositamente sviluppato per resistere centinaia di anni, con sabbia e silice.
La sua Eco Art, come la si può definire in questi casi, unita alla passione per il mare e l’impegno nella salvaguardia dell’ambiente, sposano in maniera del tutto originale l’idea di utilizzare il cemento come materiale energizzante, come deterrente contro il riscaldamento globale e l’inquinamento degli oceani.
Nel 2004, dopo che l’uragano Ivan aveva devastato le coste sudamericane e distrutto gran parte della barriera corallina, Taylor iniziò a progettare il suo primo museo sottomarino a Grenada, nel Mar dei Caraibi, inserito dal National Geographic nell’elenco delle 25 meraviglie del mondo; l’idea era proprio quella di allontanare i turisti dai siti più conosciuti, vicini alle cose e già provati dall’evento, e portarli a visitare altri siti non lontani da lì, permettendo all’habitat originario potersi rigenerare.
L’esperimento ebbe successo e a distanza di pochi anni fondò il Museo Subacuatico de Arte (MUSA) di Cancun, in Messico, ad oggi considerato il più grande al mondo sia per superficie che per densità di opere; “The Silent Evolution” è un po’ l’emblema di una maestosa folla umana che nel tempo sarà destinata a formare una nuova barriera corallina, evolvendosi al servizio del mare.
Le strutture originarie, da lui stesso chiamate “Underwater Living Installation” hanno subito nel tempo continue metamorfosi; l’aspetto originario è infatti in continuo mutamento grazie all’intervento della flora marina: i coralli, le spugne e le alghe che hanno negli anni “vestito” e colonizzato corpi e volti. In alcuni casi il corallo è stato installato dall’artista direttamente sulle sculture per agevolare la sua ricrescita spontanea.
Ogni personaggio interagisce inevitabilmente con l’ambiente acquatico e ne raccoglie il suo divenire; è la metafora della vita stessa che nel tempo plasma corpo e anima. Le opere hanno tutte una forte accezione simbolica; parlano del tempo, dell’attesa, della speranza, della rinascita e della resilienza.
La forza espressiva del messaggio artistico si mescola all’effetto ovattato dell’ambiente marino creando un’ambientazione surreale che provoca sorpresa e una dovuta riflessione. Le figure di Taylor hanno il potere della persuasione e la forza del cemento per identificare, solidificare un pensiero e obbligarci a pensare e a non dimenticare il peso di certe realtà. Un esempio di denuncia fra tutti è “La Zattera di Lampedusa” nelle acque di Lanzarote, l’opera è dedicata ai migranti e davanti a loro, in contrapposizione al dramma delle loro vite perdute, un uomo e una donna scattano un selfie.
Non potevamo poi non citare tra le opere più imponenti e altrettanto simboliche dell’artista la sua “Atlas”, la più grande scultura sottomarina al mondo. La statua si trova a Nassau, nelle acque delle Bahamas, pesa 60 tonnellate ed è alta 5,5 metri. La donna, inginocchiata sul fondo del mare sembra portare su di sé tutto il peso dell’oceano e le sofferenze del mondo. Nella sua forza e nel suo sacrificio è raccolto il messaggio universale di Taylor, il suo fare arte per gestire i cambiamenti e raccontare il mare attraverso il “peso” della denuncia; con lui ancora una volta il calcestruzzo si dimostra un validissimo alleato della bellezza.
Foto di copertina: Rob – stock.adobe.com