Nel numero 10/2018 de “Il Giornale dell’Architettura” commentai l’avvio della sperimentazione di una nuova procedura di approvazione dei progetti edilizi e urbani in Francia. Già nel titolo dell’articolo si esaltava la misura dell’innovazione: “Permesso di costruire vs permesso di innovazione”.
La nuova procedura non faceva proprio soltanto il tradizionale disturbo che recano ai progettisti – in specie spesso i più famosi che dispongono di platee di alta risonanza – le norme urbanistiche ed edilizie. Imputate di distruggere la creatività, di omologare i progetti e soprattutto d’impedire l’innovazione, sia di processo che di prodotto.
Posizione non sempre del tutto condivisibile, ma con qualche fondamento, soprattutto quando l’applicazione delle regole non è fatta con la dovuta e necessaria, a volte, flessibilità.
Non appartiene a questo ordine di questioni, ad esempio, secondo il Senato francese, la proposta di legge governativa (“Monde”, del 23 maggio 2019: il Senato sopprime un articolo sensibile: le posizioni che si confrontano sono restauro contro ricostruzione!), di introdurre deroghe al Codice dei contratti pubblici in materia di beni culturali per rendere più facile la ricostruzione della cattedrale di Notre Dame. Il Senato ha infatti respinto la proposta di legge governativa motivando la decisione con riferimento al resto dei beni culturali, soprattutto quando questi appartengono a privati. Quali effetti avrebbe una eventuale generalizzazione della speciale deroga introdotta per la Cattedrale di Notre Dame se dovesse essere estesa a tutto il patrimonio culturale e storico?
Preoccupazione che non ha il legislatore italiano che, al contrario, sembra voler generalizzare l’assegnazione di poteri straordinari a una speciale figura – il commissario straordinario – preposto alla realizzazione, appunto con modalità straordinarie, di un notevole numero di opere pubbliche (legge n. 32/2019 “Sblocca cantieri”) – dovrebbero essere circa sessanta – sull’esempio di quanto fatto per la costruzione del nuovo ponte sul Polcevera a Genova.
La sperimentazione prese le mosse da una legge del 2017; era applicabile solo da parte di alcuni grandi «Établissement public d’aménagement (EPA)», quali quelli, ad esempio, di Bordeaux (Euroatlantique), Marsiglia (Eurmeditérranée) e Gran Paris, che lanciarono un “appello” per la manifestazione d’interesse.
In occasione del MIPIM – il Salone dell’immobiliare d’impresa (SIMI) – del 2018, furono premiate le migliori proposte.
Il successo dell’iniziativa ha spinto il legislatore a rendere ordinaria la procedura con due leggi successive: ESSOC, 2018-727 del 10 agosto 2018 dal titolo, qui sintetizzato, “… per uno Stato a servizio della fiducia…”; ELAN, 2018-2021 del 23 novembre 2018 dal titolo “… per l’evoluzione del logemente della pianificazione”.
Importante è stata anche la sentenza in materia del Consiglio di Stato del 23 ottobre 2019, definita del «permesso di fare».
In occasione del MIPIM del 2019, tra i moltissimi progetti innovativi presentati, emerge “un piccolo colpo di luce su alcune forme di innovazione sollecitate dai poteri pubblici”: questo il sottotitolo dell’articolo che si legge su “Urbanisme” n. 412/219, sulle Nuove forme di produrre la città.
Sembra che la procedura sia uscita dalla fase sperimentale e inizi una navigazione ordinaria. Lo scopo, ulteriormente affinato, è quello di mettere al centro del progetto il suo fine piuttosto che non i mezzi per perseguirlo. In modo del tutto libero si opera la scelta dei mezzi per raggiungere il fine del progetto. Ovviamente, come avevamo sottolineato nel precedente articolo, prendendosene tutta la responsabilità da parte dei progettisti.
In fondo, per cercare comparazioni, è un po’ come nel caso della nostra segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), nella quale la responsabilità del progettista è molto superiore a quella della proprietà/proponente e della stessa amministrazione pubblica. Ciò, in confronto al permesso di costruire (PdiC), nel quale le responsabilità sono ripartite tra i tre attori essenziali della procedura del rilascio del titolo abilitativo.
Le proposte sperimentali vedono al centro i progettisti, singoli, associati o equipe di progettazione permanenti e riguardano molti casi: la zona d’aménagement differita (ZAD) di Canal Horizon; un metodo di riscaldamento basato su una serra climatica, che alcune norme vigenti vietano; l’agenzia Daquin – Ferrière associata ad un laboratorio sulle acque, ambiente e sistemi urbani, realizza un dispositivo di riutilizzazione delle acque nere e di prima pioggia, fino a oggi impossibile da realizzare; ecc.
L’agenzia Carmal Architecture a Grignys dans l’Essonne, addirittura, propone un permesso di costruire reversibile uffici/alloggi: attualmente sono in corso le valutazioni per l’aggiudicazione dell’appalto.
Non si tratta solo di piccole innovazioni di prodotto o di procedure amministrative innovative – le destinazioni d’uso flessibili nel rilascio di un permesso di costruire di fronte alle questioni del carico urbanistico e degli oneri ad extraoneri non è proprio banale -, ma anche di “grandi opere”. Su tutte, la costruzione del Villaggio olimpico per Parigi 2024: un quartiere durevole che “accoglierà” il villaggio olimpico. In questo caso il progettista è Dominique Perrault. L’innovazione risiede nell’incorporazione della futura destinazione d’uso – residenze ordinarie – nel permesso di costruire rilasciato per la costruzione del Villaggio degli atleti olimpici.
Tra gli aspetti certamente da segnalare della nuova procedura, la capacità incitatrice della domanda pubblica. Gli EPA che sollecitano la presentazione di proposte – si badi, operando prima di tutto sui progettisti e non sulle imprese –, operano una innovazione dei processi e dei prodotti, agendo sulla domanda pubblica.
Il caso certamente più significativo è quello della incentivazione di materiali innovativi, ad esempio all’uso del legno strutturale, allo scopo – che dovrebbe essere oggetto di discussione certamente più approfondita di quanto non lo sia un po’ ovunque oggi –, di sviluppare la filiera francese delle costruzioni in legno. Quindi un disegno di politica industriale. Che non trascura anche l’innovazione della filiera cemento-calcestruzzo innovativi.
Mentre sembra proseguire speditamente e con successo questa sperimentazione – di cui non c’è traccia nel nostro dibattito pubblico sulla progettazione edilizia e dell’infrastrutture e sui contratti pubblici (si veda il testo del “nuovo” Regolamento sui contratto pubblici che quasi ignora “servizi” e “forniture”) –, anche in Francia la nostalgia per un mondo che (forse) fu, e definitivamente è, forte. Esemplare al riguardo l’articolo di Pierre Pestoral, “Urbanistica alla deriva. Le autorità francesi rinunciano al ruolo di committente” (“Le Monde diplomatique / il manifesto, n. 6 del giugno 2019), dove alcune questioni – quella già ricordata, della ricostruzione di Notre Dame –, la possibilità data ai privati di realizzare edilizia sociale (dimenticando che nelle zone di antica industrializzazione oggi si abbatte l’edilizia sociale!), quella soprattutto delle Olimpiadi 2024 e dei Campionati mondiali di calcio 2016, che sono considerati da questa critica il punto più basso della perdita di capacità pubblica di governare il mercato.