Infrastrutture

Il ruolo del cemento nella ricostruzione delle infrastrutture italiane nel dopoguerra

Il cemento ha avuto un ruolo fondamentale nella rinascita dell’Italia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Paese nel corso del conflitto ha perduto la maggior parte dei suoi ponti: circa 10 mila quelli distrutti, di cui 811 ferroviari (circa un quarto del totale, con il patrimonio di ponti metallici ridotto a metà), 2.944 censiti sulle principali strade statali e poi migliaia nelle città – dove il sacrificio è stato più alto perché sono andate perse opere d’arte romane e medievali – e nei territori suburbani. Non c’è un’area del Paese che non veda distrutte le proprie opere: da nord a sud i ponti vengono bombardati o minati senza soluzione di continuità. Ma è soprattutto lungo la linea Gotica, sulla direttrice dell’Arno, e lungo la linea Gustav, a ridosso del Garigliano e del Liri. L’Italia è un Paese devastato nelle infrastrutture molto più che nelle case o nelle fabbriche.

Sarà il dopoguerra, anche grazie agli ingenti aiuti arrivati con il Piano Marshall, che permetterà di ricostruire le infrastrutture su tutta la Penisola, seguendo due diverse linee di pensiero: quella empiristico-naturalista, con a capo Arturo Danusso, che si basa sulla sperimentazione dei modelli, e la linea scientista-positivista di Gustavo Colonnetti, che promuove l’avvio dei primi cantieri della precompressione. Nel primo caso, a essere favorita è stata la riproduzione del ponte ad arco e delle volte sottili, nel secondo invece gli scienziati hanno lavorato affinché accelerasse il processo verso la nuova tecnica. In questa emergenza, tutti gli ingegneri disponibili in Italia vengono “arruolati”. Non importa che prima della guerra si occupassero di altri ambiti, adesso la necessità è la ricostruzione. E in quest’ottica, anche tutte le tipologie strutturali sono ammesse, vista la necessità di lavorare in parallelo su decine di progetti avendo a disposizione decine di minuscole imprese di carattere famigliare.

Due le fasi della ricostruzione. La prima fase si concentra sulle linee ferroviarie, prese di mira durante il conflitto. È la cosiddetta «ingegneria di pronto soccorso» e ne sono un esempio i ponti ferroviari sul Po a Piacenza per la linea Bologna-Milano, a Mezzanacorti – l’originale era stato progettato da Alfredo Cottrau nel 1867 – e a Cremona (la cui costruzione risaliva al 1892 per opera delle Officine Savigliano). Entrambe queste opere vengono ricostruite sulle pile distrutte dalle bombe e, a distanza di decenni, hanno ancora le caratteristiche campate della prima versione. Talvolta, anche nelle ferrovie, il ferro ottocentesco è sostituito dal più moderno cemento: per esempio nel ponte ferroviario Santo Spirito a Isernia, distrutto nel 1943, e sostituito da un nuovo grande arco di cemento armato completato nel novembre del 1952 che ancora oggi fa regolarmente il suo dovere.

In un secondo momento, dopo il 1952, la ricostruzione dei ponti stradali è prioritaria rispetto a quella ferroviaria. E qui il materiale impiegato è sempre il cemento, anche perché è il più disponibile sul territorio italiano, assai meno costoso dell’acciaio e soprattutto più facile da mettere in opera per le piccole ditte diffuse nel mondo delle costruzioni (mentre la costruzione di un ponte di acciaio è riservata a poche imprese specializzate, con operai montatori altrettanto specializzati). Di questa avventura della Ricostruzione, enorme, silenziosa, che dura più o meno fino al 1955, il cemento è stato dunque protagonista. Sono fatti di cemento – armato o precompresso – la maggior parte dei ponti che vengono ricostruiti in questa fase.

Sono di cemento armato i ponti di Firenze o di Pisa (quello di San Niccolò nel capoluogo toscano e il ponte di mezzo a Pisa) che sostituiscono le opere secolari sull’Arno che sono state sacrificate dagli invasori nazisti per rallentare la risalita delle truppe alleate. Di cemento sono anche molti ponti autostradali come quello sull’Oglio a Palazzolo, sulla Bergamo-Brescia, che sostituisce l’originale demolito dalle bombe delle operazioni aeree alleate. E poi sono di cemento migliaia di ponti minori, extraurbani, nei quali si applicano tutte le tipologie disponibili, già sperimentate o mai viste prima: trovano spazio i pioneristici ponti in cemento armato precompresso, i primi in Europa (il ponte inclinato dell’impianto idroelettrico del Mucone; il ponte sul Samoggia a San Giovanni in Persiceto; il viadotto sul Piave a Vallesella; il ponte sull’Elsa a Canneto presso Empoli). Sono di cemento armato i ponti che raddrizzano e potenziano le direttrici principali, l’Aurelia per esempio nel tratto toscano (il ponte di Calignaia, il ponte di Calafuria) ma anche in quello ligure (l’autostrada di Voltri-Albisola); e di cemento sono i ponti tipo Maillart lungo la nuova tratta autostradale tra Vietri e Salerno. E anche i ponti ad arco sottile e impalcato irrigidente, secondo il modello ideato da Robert Maillart e importato dalla Svizzera (il ponte del castello Colonna a Genazzano; il ponte sul Nera e il ponte sul Frigido). Ma anche il ponte sul Magra, tra Caprigliola e Albiano, crollato l’8 aprile 2020: perché questi ponti hanno ormai compiuto 70 anni di onorato servizio e devono essere manutenuti, controllati, verificati alle nuove condizioni di carico.

Queste costruzioni raccontano la nostra storia, la storia di un Paese uscito distrutto dalla guerra che ha saputo risollevarsi e, anche grazie al nostro materiale di elezione, il cemento, si è preso di diritto un posto nel panorama mondiale dell’ingegneria. L’auspicio è che questi ponti, opportunamente salvaguardati, possano continuare a raccontare solo belle storie.

Tullia Iori
Professore Ordinario presso la Macroarea di Ingegneria dell'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Dal 1994 conduce le sue ricerche indagando la storia della costruzione e dell'ingegneria strutturale, con particolare riferimento alle applicazioni relative alla conservazione. Dal 2012 è co-Principal Investigator nel progetto SIXXI dedicato alla Storia dell'ingegneria strutturale italiana e guida il lavoro del gruppo di giovani ricercatori coinvolti. Autrice di numerose pubblicazioni sulla storia delle costruzioni, ha curato diverse mostre sul tema dell'ingegneria strutturale italiana.

You may also like

Comments are closed.